Ogni anno nel mondo si infettano di influenza tra i 300 milioni e il miliardo di persone. Nella sola Europa muoiono tra le 50 mila e le 220 mila persone. La tradizionale influenza di stagione, cui siamo quasi affezionati come l'ora legale, l'inizio del campionato di calcio o la riapertura delle scuole, di volta in volta definita confidenzialmente dai media con i termini anansiogeni di "australiana", "cinese", "coreana" o con altre denominazioni esotiche, uccide ogni anno in Italia 8500 persone, ovvero oltre 700 al mese. Una piccola ecatombe che passa inosservata, se la compariamo alla rilevanza attribuita costantemente alle vittime della strada che nel 2007 sono state 5131, due terzi delle vittime influenzali.
Ricordate l'influenza aviaria? La catastrofica "aviaria" scatenò una paranoia mediatica mondiale. Al riguardo ancora ricordo i servizi degli inviati del Tg1, mandati alle foci rumene del Danubio ad aspettare gli uccelli migratori dall'Est, ritenuti gli untori volanti della terribile malattia: cosa aspettavano di vedere questi celebri giornalisti? Folaghe e gabbiani arrivare con striscioni e cartelloni con su scritto "siamo in milioni e tutti infetti, arrendetevi"? Ebbene le vittime causate dai volatili-Attila sono stati dal 2003 in avanti 257 in tutto il mondo. Ne ammazza di più il panico, si potrebbe sarcasticamente affermare. Certamente una casualità voleva che il medicinale efficace contro l'aviaria fosse il Tamiflu, commercializzato da Roche ma sviluppato dalla californiana Gilead Sciences dove dal 1988 al 2001 era stato membro del consiglio di amministrazione il segretario di Stato dell'amministrazione Bush junior Donald Rumsfeld, dal 1997 in avanti addirittura amministratore delegato della società biotech. Come ricorda The Indipendent, Rumsfeld vendette parte delle azioni in suo possesso nel pieno della psicosi mondiale con un guadagno netto di 5 milioni di dollari.
L'attuale, inquietante influenza "suina" (come se poi quasi tutte le influenze non venissero incubate dai suini) ora con il nome più scientifico di A/H1N1, (un codice inquietà di più e spinge le persone a prendere più sul serio la cosa, che poi tutte le influenze abbiano un codice tipo H(numero)N(numero) risulta per ora trascurabile) nasce, come sappiamo tutti, in Messico. Ad oggi questa devastante epidemia ha fatto 16 morti e 427 infettati su una popolazione messicana di quasi 109 milioni di abitanti; la normale influenza nel 2007 ha sottratto nella sola Città del Messico 1742 vite, circa 145 al mese. Ma il Messico è un paese fortunato perché proprio il 9 marzo scorso Sanofi-Aventis, nel corso della visita del presidente Sarkozy, ha annunciato un investimento da 100 milioni di euro nel paese nordamericano per la realizzazione di un impianto di produzione di vaccini antiinfluenzali. Il comunicato ufficiale dichiara: “La nuova struttura sarà progettata per convertirsi al vaccino pandemico qualora l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiari una pandemia influenzale umana e ne identifichi il ceppo.”
L'emergenza influenza in Messico è praticamente endemica, con focolai naturali costantemente attivi e non a caso la casa farmaceutica francese ha scelto il paese per i suoi investimenti. Quindi non si tratta di negare il fenomeno e la capacità dei virus influenzali di ricombinarsi costantemente, creando di continuo nuovi ceppi cui la ricerca farmaceutica deve far fronte.
Si tratta di capire il ruolo dei media nell'amplificare o mettere in sordina certe emergenze sanitarie. E quanto i consulenti di comunicazione delle case farmaceutiche siano coinvolti in questi fenomeni.
Possiamo indicare quattro strategie comunicazionali che trasformano un'emergenza sanitaria locale e limitata in una psicosi mediatica globale:
1. La descrizione del fenomeno: dire influenza A/H1N1 è molto più corretto che dire influenza suina; dire peste suina invece che influenza suina non solo è scorretto da un punto di vista lessicale e medico, ma si tratta, come dice Daniele Luttazzi, di “giornalismo deontologicamente modificato”;
2. Paragoni o similitudini: per un virus che finora ha ucciso meno di 20 persone si è portato spessisimo l'esempio della Spagnola che nel biennio 1918-19 uccise 40 milioni di individui in un mondo molto meno popolato dell'attuale. Ora si tratta dell'incapacità dei giornalisti a rendersi conto di dimensioni radicalmente diverse o di un'imbeccata di un ufficio stampa?;
3. La distribuzione geografica, che spinge a ricercare ansiosamente nuovi casi distanti l'uno dall'altro, creando un effetto insicurezza ("la distanza non vi tiene al sicuro"). Il “primo caso ad Hong Kong”, il “primo caso in Europa”, il “primo caso in Italia” sono le ansiogene aperture ricorrenti dei telegionali di questi giorni;
4. Gli infettati celebri. La cantante inglese emergente ricoverata a causa dell'A/H1N1, Madonna forse anche, addirittura un collaboratore di Obama. Tutti fatti (e si scoprirà probabilmente che erano pseudofatti) altamente notiziabili, capaci di tenere la storia in alto nelle news. Chi lavora nel settore sente puzza di pr lontano un anno luce.
Ultim'ora: anche il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio afferma: “Il virus dell'influenza 'A' e' molto blando, con una sintomatologia addirittura piu' leggera di quella della normale influenza”. Forse il messaggio per giornalisti e pr è quello di darsi una calmata?
Vi sono forse al momento troppe emergenze, nazionali e globali, per pompare anche questa. Mettere troppa paura alle persone fa paura anche agli addetti alla paura.
6 commenti:
I media hanno fame di "casi", meglio se tragici o potenzialmente tali: il dramma "tira", fa audience. Se tutto è tranquillo, la gente non sta davanti alla tv per ore a sorbirsi i sermoni di pseudo-esperti che fanno sfoggio di "magnifica ignoranza", paragonando una banale influenza ad una vera e propria sciagura quale fu la spagnola. Se tutto è tranquillo, la gente esce; se c'è il "pericolo-contagio", invece, si rintana in casa. E, in casa, che fa? Guarda la tv!
Però ho avuto la vaga impressione che questa volta ci siamo cascati un pò di meno, anche se, come segnala un interessante articolo di Wallstreetitalia.com, le crisi gonfiate degli ultimi dieci anni (mozzarella di bufala, aviaria, sars etc. etc.) sono costate all'agricoltura e all'intera filiera agroalimentare italiana circa 3 miliardi di euro. Tutte risorse che potevano essere destinate allo sviluppo ed all'innovazione.
Ma non temete, nei prossimi mesi gli sciacalli saranno intenti a rosicchiare le ossa del matrimonio di Berlusconi.
Grandissimo Biagio. . . anche se non ti conosco ti ammiro! :-)
A presto,
Francesca
grandissimo commento! stai sempre avanti
@ Sara: grazie ma chi sei???
molto intiresno, grazie
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