sabato 23 febbraio 2013

Nè Illusi nè ingenui

Giusto per chiarire a tutti come vedo queste elezioni pubblico anche sul blog l'appello "Né illusi nè ingenui", di cui trovate qui il gruppo su Facebook

Né illusi né ingenui

Le elezioni del prossimo 24 febbraio sono state enfaticamente presentate come le più importanti dal 1948, un’afffermazione che fa il paio con la classica promessa secondo la quale da trent’anni si dice che ogni legislatura sarà finalmente costituente.
La verità è che appunto da almeno trent’anni la politica non riesce a cogliere e a dare una risposte concrete e conseguenti alle trasformazioni della società italiana come del contesto economico internazionale. Le domande e le attese che emergono vengono frustrate e deluse, sia che vengano avanzate da comuni cittadini sia che arrivino dai vertici dello Stato: l’incapacità di approvare una nuova legge elettorale al posto dell’orrido porcellum ne è solo l’ultima riprova.
Il rischio di bancarotta dello Stato italiano non è un fatto meramente contabile né si può attribuire alla sola classe politica. Viviamo in anni in cui il fallimento di un’intera classe dirigente nazionale appare agli occhi di tutti nella sua gravità: i vertici della burocrazia di Stato come dell’industria e della finanza, i dirigenti politici come quelli di impresa, i rettori e i docenti universitari, i gruppi di poteri del paese, dalle logge massoniche alle organizzazioni cattoliche passando per i circoli intellettuali troppo spesso inclini a rinunciare alla loro onesta intellettuale, dovrebbero finalmente iniziare un’approfondita analisi della crisi italiana e delle loro responsabilità in essa.
L’incapacità di decenni nell’ elaborare un modello di sviluppo per il paese dopo la caduta del muro di Berlino, la rinuncia a dare al paese una politica industriale che rispondesse al declino o alla perdita dell’industria automobilistica, di quella chimica, di quella elettronica, di quella degli elettrodomestici, di quella aeronautica-aerospaziale (tanto per citare solo casi parziali) così come l’incapacità di sostenere e ristrutturare i distretti industriali non più in grado di affrontare la competizione internazionale, ha di fatto creato in Italia una crisi di indirizzo economico e sociale che aggrava la crisi finanziaria internazionale.
Intere aziende (vedi Telecom) sono state spolpate e appesantite da debiti che ne compromettono lo sviluppo futuro e la loro capacità di competere sul mercato mondo: straordinaria metafora del paese stesso. Altre (vedi Alitalia) sono state utilizzate come merce di scambio tra la politica, le banche e i principali imprenditori italiani a scapito delle casse pubbliche, dei clienti e degli stessi dipendenti: sintesi anche questa di come quale è stata l’idea di interesse collettivo che le classi dirigenti del paese hanno promosso in questi anni. Infine, anche la gestione della raccolta e della destinazione del credito (vedi MPS) ha dimenticato i criteri di merito per essere piegata solo a logiche speculative e di arricchimento di pochi, mentre la politica era al minimo ignava o collusa.
I giovani sono trattati come prede da parte della generazione precedente: precarietà, frutto di una legislazione e di una mentalità che ha giustificato gli stage gratuiti senza futuro come i contratti con emolumenti sotto la soglia di povertà; umiliazioni, frutto della ricattabilità di una generazione senza tutela e senza prospettive se non sperare nella benevolenza di qualche potente; disillusione, che sottrae energie al paese e spinge sempre di più tanti a rinunciare del tutto a inserirsi nel sistema produttivo o a scappare dal paese.
L’Italia è oggi un importatore netto di manodopera a basso costo (manovali, badanti, e un esportatore netto di ricercatori, intellettuali e professionisti: la bancarotta nella bilancia dei pagamenti intellettuale già è nei fatti.
Prevale un senso di conservazione del presente e delle tutele o delle licenze che piccoli ma potenti strati della popolazione riescono ancora ad attribuirsi.
Chi di noi oggi ha circa 40 anni ha vissuto il proprio percorso professionale rallentato e condizionato da un paese che, quando cresceva, comunque finiva per allontanarsi dalle economie e dalle società più evolute del mondo. Peggio è andata a chi di noi ha meno di 30 anni, che è stato vittima della paralisi del paese e dell’emersione dei peggiori istinti di sopraffazione da parte di chi era nelle condizioni di approfittare della debolezza della controparte.
Di fronte a questo quadro avremmo preferito ascoltare una proposta politica capace di indicare anche scelte radicali ma con una minima idea di futuro per il paese.
Le vicende dell’ultimo anno di politica ci hanno invece persuaso definitivamente dell’assoluta incapacità di autoriforma delle classi dirigenti del nostro paese. Le vicende degli esodati, del Sulcis, dell’Ilva di Taranto, le manganellate ai ragazzini durante le manifestazioni, la mancata abolizione del porcellum, tanto per citare alcune tra le più gravi, ci hanno definitivamente persuaso che non sarà nemmeno una “Grosse Koalition” a elaborare le scelte per rendere la società e l’economia italiana capace di valorizzare il talento e il merito, di tutelare i diritti dei meno garantiti, di rendere finalmente dinamica una società ingessata da compromessi, scambi di favori, appartenenze più o meno occulte.
Ultima indignazione quella per un primo ministro, nominato senatore a vita proprio per garantirgli terzietà e immunità, che si lancia nell’agone elettorale mentre è ancora è a capo di un governo che doveva consentire almeno l’inizio di un percorso condiviso di riforme.
Si parla di Europa solo come una minaccia o uno slogan non come un parametro su cui calibrare i diritti di cittadinanza.
Per tutto questo riteniamo che l’unica proposta politica che garantisce la possibilità di innescare un rinnovamento a tutti i livelli sia il Movimento 5 Stelle.
Non ci nascondiamo tutti i limiti del movimento di Beppe Grillo. Abbiamo forti dubbi sulla capacità dei cittadini eletti di reggere di fronte alle sirene delle profferte degli altri partiti e alla complessità del lavoro parlamentare. Ma non si può negare che i successi di Parma e in Sicilia sono stati la causa scatenante che ha portato la parte più consapevole del mondo politico a puntare su un rinnovamento di ranghi e di idee.
Questa spinta al cambiamento deve essere sostenuta oggi ancora di più. Avere dei cittadini che, anche con sana ingenuità, saranno capaci di denunciare i compromessi che, in Parlamento o altrove, paralizzano o saccheggiano il paese sarà un beneficio per l’intera nazione. Avere dei cittadini fortemente impegnati sul tema della tutela della salute e dell’ambiente dovrebbe spingere il Parlamento a spingere imprese e cittadini a stare al passo con le tendenze ambientali ed energetiche dei paesi più evoluti. È l’ora di smettere di tentare di reggere la concorrenza internazionale con trucchi, falsi o battaglie di retroguardia, scaricando gli errori di prospettiva della classe dirigenza nazionale e aziendali sulle condizioni di vita e di salute di lavoratori e cittadini.
Assieme a punti molto innovativi il programma del Movimento 5 Stelle può apparire parziale, superficiale, incoerente ma questa critica non può venire da una classe politica che da decenni presenta al paese programmi cui non credono neanche in campagna elettorale.
Non siamo illusi né ingenui: molto probabilemente queste elezioni non saranno decisive ma possono essere un punto di partenza di un percorso di rinnovamento del paese anche per quanto riguarda l’etica pubblica, poiché senza di essa nessuna istituzione può essere credibile.
Nè illusi né ingenui, ma solo consapevoli di orientare il proprio voto per innescare un cambiamento radicale delle pratiche e delle persone, capace di dare una prospettiva al paese contro le logiche di autoconservazione di una classe dirigente inadeguata e per dare finalmente spazio alle tante intelligenze ed energie, di tutte le età, cui il paese attuale non riconosce valore e a volte neanche diritti.

mercoledì 20 febbraio 2013

I comunicatori dell'immediato, gli schiavi dell'istante




Al professionista di marketing, di comunicazione, di pr non si chiede più solo (tra le tante altre cose) di essere competente sugli strumenti e sugli obiettivi, di sapere trasferire un sapere reale e oggettivo al cliente, di essere capace di raggiungere risultati quantificabili. I media sociali hanno imposto un’ulteriore torsione alle vite stesse dei professionisti di questi ambiti: l’obbligo costante a essere vigili senza requie, a monitorare ogni occasione per garantire visibilità a se stessi o alla propria azienda nella conversazione globale, a intervenire con spunti non banali per destare l’attenzione,l’interesse, la stima di tutti gli altri soggetti che interagiscono sul web.  
Come David Meerman Scott evidenzia in questo post il focus non è più solo sulla campagna e sui risultati da raggiungere ma sullo sviluppo di un “mindset”, di una forma mentis diremo noi latini, che richiede attenzione e reattività costanti, capaci di cogliere tatticamente le opportunità che possono crearsi o di individuare per tempo i focolai di potenziali crisi di immagine o di vendite grazie a un monitoraggio continuo dell’ambiente di mercato e comunicazionale in cui si opera.
La conoscenza è diventata sempre più una commodity  (o almeno tende ad essere tale, ed è giusto che sia così) e non esistono quasi più ambiti di sapere recintati. Nessuno è depositario di competenze esclusive. Un esperto bravo non disponibile oggi può essere rapidamente sostituito da un altro contattato attraverso una ricerca su google: quel punto della rete che occupi tu può essere facilmente preso da qualcun altro, come i neuroni morti vengono sostituiti da altri, più o meno vicini, capaci di esplicare le stesse funzioni.
A due dimensioni tipiche della competenza, ovvero la profondità e l’ampiezza, si va ad aggiungere la tempestività, che non è solo pronta risposta a sollecitazioni varie ma implica dare continuità alla propria presenza digitale in maniera pregnante.   
In termini di impatto sui tempi e la qualità della vita siamo ben oltre la tradizionale colonizzazione della vita privata. Oltrepassare i tradizionali orari di lavoro o essere reperibili quasi h24 erano già caratteristiche, spesso lautamente retribuite, di alcune storiche categorie professionali come medici o avvocati. Ora non si tratta tanto di mandare l’ultimo tweet dal letto, il più tardi possibile, ma di sviluppare un di più di attenzione attiva che porta ad analizzare i flussi di comunicazione provando sempre a cogliere da essi uno spunto innovativo, al minimo per alimentare la propria visibilità digitale fino a cogliere un’opportunità o sviluppare intuizioni sfuggite ad altri.
Non a caso all’inizio parlavo di torsione esistenziale: chi sceglie di lavorare negli ambiti del marketing, delle pr e della comunicazione sceglie oggi una professione totalizzante, in cui il carico di coinvolgimento emotivo, di passione, di entusiasmo deve essere tale da non far nemmeno sentire come lavoro quello che è un impegno senza soluzione di continuità.
In una fase di atomizzazione professionale, in cui contiamo se riusciamo a dare un qualche contributo a una conversazione globale che comunque ci trascende, i veri privilegiati saranno coloro che potranno permettersi tempi medio lunghi di riflessione e di  risposta. Tutti gli altri professionisti saranno costretti a essere schiavi della comunicazione istantanea, dell’istante sempre rincorso.