lunedì 27 ottobre 2008

Cercasi legittimità disperatamente

Una domanda semplice e non banale per i quattro lettori di questo blog: perché quando in una grande azienda viene sostituito l'amministratore delegato spesso cambia anche il direttore della comunicazione/relazioni esterne, mentre restano al loro posto, per esempio, il direttore della produzione, il direttore della finanza o il direttore del personale?

La mia personale risposta è che questa situazione, alquanto frequente, rispecchia il fatto che in Italia (e non solo) la comunicazione non viene considerata un asset dell'impresa come altre sue funzioni ma una componente quasi esterna, legata alla legittimazione e al rapporto fiduciario che sa stabilire con i vertici.

Tante aziende hanno proprie politiche nella selezione del personale, propri modelli finanziari, brevetti e linee di produzione proprietarie e quindi persone che nelle varie funzioni portano avanti negli anni questi approcci specifici. Invece la comunicazione non viene vista come parte della cultura, della storia e del modello aziendale.

E spesso, da parte loro, i comunicatori sono più attenti a gestire le relazioni con i vari pezzi del potere aziendale che a sviluppare un patrimonio comunicativo che possa diventare parte di quella realtà dove lavorano.

E poi ci si domanda perché il lavoro del comunicatore è ancora poco legittimato?

Fermi a 30 anni fa?



La nuova pubblicità di Oliviero Toscani per L'Unità di Concita De Gregorio fa sorgere una conferma e un dubbio. La conferma riguarda il fatto che la comunicazione di Toscani è rimasta ferma a trent'anni fa, quando utilizzava lo stesso stilema per pubblicizzare una marca di jeans. Il dubbio riguarda se la cultura politica dei Democratici di Veltroni sia anch'essa ferma a trent'anni fa oppure se esista ancora.

giovedì 16 ottobre 2008

Comunicazione e Marketing cognitivo/esperienziale


L'altro giorno ragionavo con un potenziale cliente, produttore di vini italiani di qualità, su come entrare in alcuni mercati dell'Europa dell'Est. “Insomma – dicevo - una pagina di pubblicità su una rivista locale in carta patinata specializzata sui vini, che dichiara una circulation di 10.000 copie, ti costa 1.500 euro. È vero che la rivista va in tutte le enoteche, i ristoranti, i locali più importanti di quella nazione, e aggiungiamoci pure che viene letta da tutti gli addetti ai lavori (sommelier, enologi, semplici appassionati). Eppure dopo che avranno conosciuto sulla rivista i vini da te prodotti, la storia della tua cantina e anche le caratteristiche dei vigneti, quale tipo di esperienza diretta del tuo vino avranno avuto i lettori? Nessuna.

Allora non è forse meglio organizzare a un costo cinque volte inferiore una serie di incontri mirati one-to-one con i ristoranti, le enoteche, i sommelier, offrendo loro gratuitamente una selezione di vini e raccontandogli di persona, mentre si degustano assieme i vini, caratteristiche, accoppiamenti, tecniche produttive, e (soprattutto) prezzi?”

Il marketing e la comunicazione delle nicchie ad alta qualità e/o ad alta specializzazione non può risolversi nella declinazione per pubblici specializzati del vecchio approccio sviluppato per pubblici di massa. Non si tratta né di fare pubblicità né di fare sampling limitandosi a numeri piu' piccoli.

Nei mercati dove la qualità è la discriminante bisogna prima di tutto stabilire tra chi produce e chi fruisce un riconoscimento condiviso del valore e dell'eccellenza di quel prodotto. Quando entrambi gli interlocutori sono persuasi dell'eccellenza di quel prodotto avviene un fenomeno tipico dell'economia della conoscenza: all'aumentare della platea di persone che considerano eccellente un prodotto, il suo prezzo si svincola sempre più da qualsiasi parametro oggettivo per indirizzarsi verso considerazioni intersoggettive legate al contenuto esperienziale, allo status, alla memoria condivisa relativa al prodotto, dimensioni travalicano le qualità pur altissime del prodotto.

Una Ferrari è una macchina eccellente per milioni di persone nel mondo e la casa di Maranello troverà acquirenti per i suoi bolidi qualsiasi prezzo proporra'. Il Sassicaia è un vino eccellente e si trova in vendita tra i 100 e i 350 euro. Molti possessori della Ferrari non hanno tutte le competenze per apprezzare al 100% le qualità della macchina, così come molti bevitori di Sassicaia riconoscono solo parte delle note organolettiche e degustative del prodotto. Eppure nessun prezzo verrà più ritenuto eccessivo per prodotti considerati eccellenti da una platea significativa di consumatori esperti. Non siamo più nel territorio del branding. Siamo nell'ambito di una economia e di un marketing basati su una comune base cognitiva e valoriale tra produtttore e consumatore. Pensare che si possa costruire questa comunanza cognitiva e valoriale con la pubblicità è semplicemente ridicolo. (Dopotutto, qualcuno ha mai visto una pubblicità tradizionale della Ferrari?)

domenica 5 ottobre 2008

Verso la comunicazione contestuale e relazionale


I prossimi passi della comunicazione di impresa e di prodotto dovranno indirizzarsi verso lo sviluppo nel mondo fisico di due innovazioni concettuali introdotte su internet da Google e dal web 2.0: rispettivamente, la pubblicità (comunicazione) contestuale e la comunicazione come relazione e mutuo trasferimento di contenuti.

Come Google ha trasformato, grazie ad AdSense, gli annunci pubblicitari in un aiuto alle ricerche di informazione che sta effettuando l'utente, allo stesso modo la comunicazione di prodotto dovrebbe riuscire a costruire modelli contestuali e sincronici con le necessità e le possibilità di accesso mediatico del potenziale utente. Mi chiedo ad esempio a cosa serve proporre l'indirizzo internet di un'azienda su un cartellone 6x3 che magari verrà scorto da un guidatore concentrato sul traffico di una tangenziale. Il guidatore dovrebbe memorizzare quel sito e poi correre davanti al primo pc che trova per visitarlo? Oppure lasciare i comandi dell'auto e appuntarselo su un bloc notes?

Perché i pubblicitari, seguiti a ruota dai comunicatori, non si domandano (quasi) mai quando e come quel nostro cliente ipotetico avrebbe bisogno della comunicazione che vogliamo offrirgli, quasi sempre in momenti sbagliati o inutili?

Veniamo al secondo spunto. Tanti comunicatori aziendali hanno paura di sviluppare contatti diretti con i clienti, i fornitori, le associazioni dei consumatori, a volte anche con i dipendenti, insomma con tutti i soggetti che quotidianamente interagiscono con i prodotti e i servizi dell'impresa o dell'organizzazione che paga loro lo stipendio. Si sentono a loro agio solo con i pubblicitari e i giornalisti, rassicurati dall'idea di poterli gestire grazie alle promesse di qualche notizia nuovo o di un sostanzioso incarico, grazie ai rapporti amicali, ai pranzi passati assieme, ai regali di fine anno. Le imprese più evolute provano a creare un numero verde, solo che i contatti (visto che si pensa saranno quasi solo lamentele) verranno poi smistati all'assistenza clienti o al servizio qualità e non al dipartimento comunicazione.

Insomma, i comunicatori spesso non escono dal circuito azienda-media-pubblicità e non si confrontano con tutti gli altri stakeholders dell'impresa o dell'organizzazione.

Naturalmente qualcuno dirà: e tu cosa proponi?

Eccovi serviti, sempre a costi contenuti, a maggior ragione in tempi di crisi montante.

Un blog aziendale in cui presentare e commentare con i clienti e i fornitori iniziative e avvenimenti aziendali che i media non riterrebbero notiziabili;

Una newsletter per i fornitori in cui si presentino innovazioni, accordi, acquisizioni e tutto quello che per un fornitore può risultare utile sapere per rendersi conto che l'azienda sua cliente si sviluppa e sa affrontare le complessità del nuovo contesto;

la possibilità di lasciare commenti su tutti i comunicati della newsroom del sito web;

Creare concorsi per i dipendenti a raccontare l'azienda in cui lavorano attraverso video e file musicali: la totale libertà di espressione di questa specie di YouTube aziendale potrebbe essere anche uno strumento di analisi del clima. Non bisognerebbe dimenticarsi di mettere in palio premi possibilmente in denaro o vacanze e non fantozziane medaglie di cartone.

Insomma, la lista potenziale è molto più lunga e penso che i comunicatori che leggeranno questo post potrebbero anche collaborarvi con i loro commenti.

Si comunica a individui concreti, non ai media in astratto: prima o poi anche i comunicatori di professione se ne renderanno conto.