giovedì 30 giugno 2011

Content Curation, ovvero creare e trovare contenuti interessanti



Le attività di content curation si scontrano con una frase che è meno una condanna che una costatazione: “90% of everything is crap”, il 90% di ogni cosa è merda, ha detto Theodore Sturgeon. Valeva per i contenuti su supporto analogico e ancor di più per quelli digitali. Dunque come selezionare quel poco di contenuti effettivamente validi e originali che possiamo scovare dentro il web?

Inizio col proporre una tassonomia di strumenti di ricerca e selezione dei contenuti che vuole andare oltre il ricorso esclusivo agli algoritmi di ricerca.

1. 1. Dobbiamo innanzitutto distinguere tra content aggregator e news aggregator: nel primo caso ricade un sito come Liquida, nel secondo il classico Google news. La caratteristica di questi siti è quella di basarsi su meccanismi di individuazione e riorganizzazione delle fonti (blog, tweet e news in un caso, siti di informazione nell’altro) che si basano su tag (anche sul tagging e i metadata si potrebbe scrivere per anni ma non è il caso ora).

2. 2. Poi abbiamo i content producers, che possono essere tanto fonti giornalistiche, che istituti di ricerca che singoli blogger o produttori di contenuti digitali (audio, video, foto, mash ups).

3. 3. Poi abbiamo i resonators, ovvero utenti digitali (non solo blogger ma anche profili facebook, twitter, foursquare e così via) che hanno una forte connessione qualitativa e quantitativa con gli altri utenti del web sociale seguiti proprio perché capaci di proporre sempre o almeno spesso una selezione pregnante di contenuti

4. 4. Poi abbiamo i dashboard, strumenti come Netvibes che ci consentono di tenere sotto controllo una serie di tematiche grazie alla capacità di aggregare diversi contenuti con tag simili

5. 5. Quindi abbiamo le piattaforme che miscelano contenuti orginali, news aggregation e piattaforme per blogger quali Huffington Post e Il fatto quotidiano

6. 6. Infine abbiamo gli algoritmi come Google e Bing.

7. 7. Aggiungerei infine a questa panoplia anche altri strumenti di rilevazione instantanea come Google Alerts o Tweetdeck o whatthetrend.

Questi strumenti sono oggi il minimo armamentario di cui un utente digitale deve disporre se vuole operare sulla rete con un minimo di tempestività, efficacia e capacità di analisi.

La proposta di content curation che faccio non è tanto quella di basarsi solo su algoritmi o sull’intuito personale, né tanto meno di indirizzarsi subito verso sistemi molto evoluti di analisi semantica del web come quelli sviluppati da Onalytica, Sysomos , Radian6, ecc.

Si tratta invece di sviluppare un modello soggettivo che risieda nella capacità, nell’esperienza e nella cultura del fruitore umano, e questo per il semplice motivo che ogni contenuto porta in sé dei significati sempre in relazione alle capacità di produzione di senso (decodifica-codifica-distribuzione-connessione) di chi ne fruisce. Il web è relazionale non di per sé ma perché nell’intercambiabilità tra contenuto e relazioni esso ha creato la semiosi illimitata digitale che sta alla base di tutte le nuove forme di produzione di contenuti che assorbe il web quotidianamente. En passant ricordo che qualsiasi formula di controllo che vorrebbe imporre l’Autorità garante nelle comunicazioni sui contenuti digitale manifesti una chiara incapacità a capire quella che qui chiamo semiosi illimitata digitale.

È l’utente che “miscela” i diversi strumenti in funzione delle sue necessità di ricerca ed è evidente che in questo vi è una componente di artigianalità legata alla conoscenza del web, alla cultura personale, alle competenze tecniche nell’uso dei software.

Forse in tal senso possiamo anche intravedere i segni del declino dello stradominio tanto paventato di Google. Google non tramonterà, resterà molto probabilmente un brand importante anche nei decenni a venire ma sempre meno dominante, un po’ come è successo a Microsoft negli ultimi 10 anni, non perché gli sarà lanciato contro un progetto alternativo come il deludente Bing, ma perché l’espansione del web con la moltiplicazione di contenuti porterà ciascuno ad affiancare agli algoritmi di Mountain View un insieme di nuovi strumenti che meglio si adatteranno alle necessità e alle modalità di fruizione del web di ogni singolo utente digitale, o meglio gli forniranno quei fasci di contenuti da incrociare e analizzare per individuare i contenuti di cui è in cerca.

L’utente digitale è non solo un esploratore di contenuti ma a sua volta un produttore poiché la sua attività lo porta ae individuare nuovi nessi semantici tra i contenuti costantemente immessi nel web.

Già si è riproposta sul web la dicotomia che abbiamo avuto dai tempi dell’alfabetizzazione di massa: una persona colta non è chi sa leggere e scrivere e nemmeno una persona che passa tanto tempo a leggere (cosa poi?): una persona colta è chi sa cercare i contenuti, scovarne le fonti e rielaborarle. Allo stesso modo un utente digitale evoluto si costruirà i suoi percorsi per affrontareil gran mare dei contenuti digitali.

Come sempre dipende dai singoli, da tutti noi. Chi invece crede che la tecnologia o il web salvino da sole le persone o è un illuso o non ha capito nulla.

domenica 19 giugno 2011

Mentalità Cip (anteprima)

Mentalità Cip. Cip come traslitterazione in italiano di chip e di cheap e traduzione del verso degli uccellini (in inglese tweet). Ovvero una mentalità che si basa sulle sintesi che si trovano sul web, che esalta la rapidità ma tralascia i tempi lunghi della riflessione e dell'analisi delle complessità di ogni tematica, che crede messianicamente nel potere delle nuove tecnologie della comunicazione, che spesso si ferma alle idee a buon mercato che si trovano sul web da approvare con un like e via senza pensarci troppo.
Un tema su cui mi tratterrò più diffusamente in un prossimo post.
Coloro che vivono in questa dimensione hanno trovato in Italia il loro profeta in Riccardo Luna, l'ex direttore di Wired. Oggi Luna ha scritto un testo di tipica cultura cip su Il Post ma il commento di Fennix ha colto davvero nel segno. Lo riporto quasi integralmente dato che rappresenta un'ottima messa in discussione di un certo tipo di approccio che rischia di banalizzare anche quel poco di cultura digitale autoctona italiana:
"Ma, Riccardo, hai forse diviso le acque del Mar Rosso? Hai portato un miliardo di indiani all’indipendenza, come Gandhi? Senza cattiveria, ci vorrebbe un po’ di misura… Mi piace la tua sfida al cinismo, così tipico dei giornalisti, però esageri. E nella tua esagerazione noto un tratto ahimè comune e molto stucchevole che ricorre in rete: chi ha a che fare con Internet si sente troppo spesso un eroico pioniere, un coraggioso avanguardista, un esemplare unico di essere umano più buono, democratico e, ci mancherebbe, innovatore. Amici, siamo sicuramente più cool e moderni del curatore del catalogo Bollaffi, però non siamo Barack Obama e neanche Al Gore, che pretendeva di avere inventato “le autostrade dell’informazione” già vent’anni fa. Sù, un giornale ha cambiato direttore. Succede"

lunedì 13 giugno 2011

Scrivere un post di successo (?)

Ma cosa cerchiamo quando scriviamo un post? Vogliamo offrire ai nostri lettori intuizioni, spunti, idee, proposte, argomenti sui riflettere e dibattere oppure vogliamo crogiolare il nostro ego ipertrofico ammirando le curve degli accessi al blog?

Dedico le dritte seguenti proprio proprio a questi narcisisti cronici (ok, ok, chi di noi blogger non lo è?).

Ordunque vediamo alcune caratteristiche inelubidili del post di successo.


· Attualità: intesa non per forza come la notizia del momento quanto temi che sono attualemente ai vertici dell’attenzione dei media sociali.
· Stile: che deve essere brillante, satirico, ironico, sfizioso, una boccata di aria fresca nelle morte gore di un ambiente di lavoro noioso e asfittico. I navigatori d’altronde amano girare ai loro amici qualcosa che può farli sorridere.
· Diffusione: lasciate con nonchalance il link del post nei blog più frequentati che hanno scritto su quel tema o già riflettuto su argomenti simili, postatelo di soppiatto sui wall dei vostri amici collezionisti seriali di amicizie digitali, segnalatelo compulsivamente su Tecnorati, Liquida, Stumble Upon, Digg e così via (rinuncio in partenza a proporre un elenzo esaustivo di tutti i siti di aggregatori o social content sharing)

Metteteci ovviamente i vostri tag e i link del caso, quanto basta come si dice in cucina, utilizzando parole diffuse ma non comuni e possibilmente sfiziose (mica del tipo “estetica razionale”). Fate un po’ di SEO casereccia facendovi aiutare da amici, parenti e conoscenti che sopportano stoicamente le vostre paturnie webiche. Mescolate il tutto in parti più o meno uguali a seconda del caso e avrete un post con la ragionevole speranza di essere letto da qualche centinaio di (malcapitati) navigatori. Così avrete goduto dei vostri 5 minuti di attenzione digitale e potrete andare a dormire tranquilli con il vostro narcisismo acquietato (temporaneamente, ça va sans dire).

Ma è proprio questo che cerchiamo dal web? Quanto tempo noi stessi perdiamo nel leggere post e link ripetitivi, superflui, strumentalmente polemici, sterili e incapaci di arricchire i nostri desideri di conoscenza? Affidarsi alle classifiche degli accessi ai blog di Tecnorati come di Google e Alexa è come ricadere nella vecchia logica pubblicitaria del “millions can’t be wrong”? Ci interessa proprio la milionesima sparata antiberlusconiana o il centesimo commento sull’uscita da Wired Italia di Riccardo Luna? Noi che navighiamo per ore ogni giorno, sentendoci tante volte migliori di chi spende il tempo a seguire passivamente la televisione, non siamo anche noi vittime di tecniche di autopromozione pubblicitaria webiche spiegate piuttosto bene in questo post di Tagliablog e in quest’altro di Comunicare sul web?

Quali possono essere invece i criteri per cercare contenuti pregnanti e non risolvere ogni navigazione in una perdita di tempo? Mi piace chiedere sul tema il parere dei miei 4 lettori e prometto loro che tra qualche giorno ci saranno le mie considerazioni a proposito.

venerdì 3 giugno 2011

Vodafone: marketing real time. Alla rovescia


“Per te, noi di Vodafone ci siamo sempre. Come, quando e dove vuoi”. Con notevole senso di autoironia Vodafone Italia ha lanciato questa campagna pubblicitaria.

In effetti Vodafone c’è sempre. Per esempio quando deve addebitarti 29 euro per una Internet key il 12 maggio. Peccato che Vodafone fino ad oggi, 3 giugno, si è dimenticata di consegnartela. Evidentemente in questi casi la compagnia telefonica inglese dimentica di esistere.

E poi vuoi mettere i servizi del “190 fai da te”? Ti addebitano il 10 aprile 5 euro per una SIM Bis, ti arriva il plico, tu provi per 10 volte ad attivare la SIM sul sito come indicato ma non è possibile. Allora ti rivolgi al 190 che dice di non sapere cosa sia successo tecnicamente. Ci riprovi con un negozio Vodafone (che c’è sempre, in qualche modo) il 28 maggio a Roma (via del Tritone): la suadente signorina ti dice che loro non fanno attivazioni di questo genere e ti invitano (cortesemente, per carità) a rivolgerti al servizio clienti via telefono. Il quale servizio a seguente chiamata si materializza attraverso la voce di tale Giusy, che dopo averti fatto attendere 6 minuti dice che per motivi che non devi sapere non puoi attivare la Sim online ma solo tramite la modernissima modalità fax. Alle tue osservazioni sulle complicazioni che tale modalità ti crea la soave Giusy risponde: “e che cazzo vuoi”. E riattacca. Son soddisfazioni, no?

Son soddisfazioni come quelle che ricevi quando provi a mandare email a Vodafone senza ricevere alcuna risposta o chiedi di essere contattato. Invano. A dire il vero non è sempre così, forse. C’è stato, penso, uno scherzo telefonico: un signore mi contatta per conto di Vodafone (che c’è sempre per chi non so) per telefono dicendo di voler capire perché la Internet key non veniva consegnata. E io ho detto: lo chiede a me? Chieda al vostro corriere? “Non si preoccupi che per martedì 31 maggio tra le 13 e le 18 consegneremo il prodotto”. Tra le 13 e le 18 del 31 maggio mia madre è rimasta reclusa in casa ad aspettare, senza che qualcuno di Vodafone (che c’è sempre, non dimentichiamolo) si presentasse. Vedete che era uno scherzo telefonico?

Nella pubblicità Vodafonec’èsempre dice di essere raggiungibile tramite sito web, telefono, sms, negozi e widget. Ho provato 4 modalità su 6. Però mi hanno comunicato che Vodafone da pochi giorni offre assistenza clienti anche su Twitter.

Ecco, mi manca il vaffanculo via Twitter. A quando, signori di Vodafonec’èsempreperte?