domenica 27 febbraio 2011

Cari economisti, oltre le analisi vogliamo le proposte

Solo il 2% del prezzo di vendita finale di un iPod arriva al paese produttore del manufatto fisico. Il restante 98% si ripartisce tra i servizi di progettazione dell'architettura e del software, di design, di marketing e comunicazione, servizi quasi sempre elaborati nei paesi più ricchi del mondo, a partire dagli USA. E percentuali non molto dissimili valgono per iPhone, iPad, smartphone, e tutti gli altri prodotti di comunicazione che affollano le nostre vite.

Perché in Italia non riusciamo a produrre o a sfruttare le innovazioni (pochi sanno che lo standard MP3/MP4 è stato promosso da Leonardo Chiariglione) che stanno cambiando non solo la tecnologia ma la storia del mondo? Abbiamo tutti deciso che è meglio fare gli idraulici o fare i geometri arricchendoci con qualche palazzina abusiva?

Il paradosso italiano è che se si è giovani e senza la possibilità o la voglia di seguire il percorso del padre (notaio o idraulico fa lo stesso) vi sono poche possibilità di avere un lavoro con un salario decente mentre vi è la certezza di ritrovarsi in pensione tra 35-40 anni con un assegno oscillante tra i 350 e i 500 euro. Per secoli vecchiaia ha significato povertà. Nella paradossale Italia di oggi il rischio di essere poveri è più legato all'essere giovani.

Mentre i lavori manuali a bassa qualificazione hanno subito la concorrenza delle manifatture dei paesi emergenti come anche della forza lavoro degli immigrati, le persone altamente formate si ritrovano un'offerta di lavoro scarsa, poco pagata, precaria. Per dirla con le parole di Ignazio Visco sull'ultimo numero de il Mulino: “I giovani pagano con bassi salari e condizioni di lavoro precarie l'incompatibilità tra ciò che sanno e ciò che viene loro offerto”. L'articolo di Visco è ricco di spunti ma sbaglia a mio modesto avviso impostazione e conclusioni. Risulta abbastanza banale evidenziare i ritardi del sistema formativo italiano (sia pure sulla scorta di dati OCSE incontrovertibili) o esaltare la necessità di una formazione continua: queste considerazioni sono oramai patrimonio collettivo nelle argomentazioni economiche delle élite di qualsiasi orientamento, quasi dei truismi buttati lì in ogni dibattito per acquistare un facile consenso.

La risposta che vorrei da Visco, capo economista della Banca d'Italia, riguarda come cambiare l'assetto economico del paese, ovvero quali politiche industriali e sociali intraprendere per indirizzare gli investimenti verso i settori di avanguardia con margini a doppia cifra e come valorizzare il capitale cognitivo di giovani sospesi tra ruoli marginali e mansioni sottopagate.

Altro che le tirate dei ministri Gelmini e Sacconi contro certe lauree e a favore dell'istruzione tecnica: queste sparate, buone solo a guadagnarsi un po' di visibilità mediatica a buon mercato, trarrebbero anche un senso da certe situazioni oggettive se non venissero da esponenti di un Governo che finora non ha fatto nulla per valorizzare chi ha investito sul proprio capitale cognitivo.

La questione centrale è invece quella di rendere di nuovo pregiato il patrimonio cognitivo delle persone.

Economia della conoscenza significa che si produce conoscenza a mezzo di conoscenza, traendone un vantaggio economico non più in funzione delle ore di lavoro o del costo delle materie prime ma in base alla capacità di problem solving, di produzione di ulteriore conoscenza, del contenuto esperienziale e dell'arricchimento cognitivo che si eroga al cliente. A quel punto il prezzo diventa un fattore incomparabile, definito solo dall'abilità dell'azienda a trasferire al cliente modelli cognitivi e attese esperienziali capaci di rendere ai suoi occhi unico un prodotto o un servizio: “un oggetto cognitivo”.

Non mi soddisfano le conclusioni di Visco perché oggi in Italia anche quella élite di giovani con alta formazione e competenze superiori non incontra un sistema economico capace di inglobarli e di “metterli a valore”, nonostante questa élite sia numericamente molto più ridotta rispetto a quella degli altri paesi UE.

Allora tanto vale che proporre ai 4 lettori di questo blog alcune proposte che finora ho sentito o letto poco o punto:

  1. introduzione di un reddito di cittadinanza, spendibile anche sotto forma di servizi gratuiti per la riproduzione del capitale cognitivo delle persone (corsi di specializzazione, fruizione di iniziative artistiche, acquisto agevolato di libri, ecc.)

  2. imporre per legge il pagamento degli stage per non meno di 800 euro al mese

  3. deduzioni fiscali per imprese che assumono almeno con contratti a tempo determinato giovani da impiegare nei settori della ricerca, del marketing e della comunicazione, dell'internazionalizzazione, nella elaborazione di software e design, nella formazione interna, e in altri ambiti ad alto contenuto cognitivo

  4. creare meccanismi ispettivi per verificare che gli stage abbiano un carattere formativo

  5. finanziare ogni anno concorsi rigorosissimi per l'assunzione di giovani con alta formazione in tutte le aziende di Stato, per incrementare lo sviluppo di nuovi prodotti, nuove ricerche e nuove applicazioni


Penso che la lista possa essere facilmente allungabile da parte dei miei lettori. E sarebbe anche il caso che, mentre si aspetta che l'Italia offra loro buona occupazione, i giovani con cervello sappiano proporre ai vecchi decisori dall'encefalogramma quasi piatto idee e percorsi innovativi in cui dimostrare il proprio valore.

sabato 19 febbraio 2011

Gli imprevisti della "conversazione"

Quant'è bella la conversazione!
Oramai è una delle parole d'ordine di ogni comunicatore moderno, pronto allo scambio di opinioni e ad ascoltare gli altri, aggiornato, sempre attivo sui social media e capace di fare social media marketing grazie alla "conversazione", come ci insegna Paul Gillin. (wow, quanto siamo cool&trendy con i social media!)
Solo che se devi comunicare devi farlo sempre, e devi capire che il wall di facebook serve per parlarsi, non come bacheca elettronica che può andar bene fino a quando non succede l'imprevisto.
Perché succede che la vita di un personaggio pubblico o di un'azienda prenda curve impreviste e allora quella comunità di amici su Facebook o sul tuo blog con cui conversavi, ti confortava, ti spronava, era insomma uno degli indici del tuo successo, ti si rivolta contro.
Pochi minuti fa ho dato una scorsa al profilo Facebook dell'onorevole Luca Bellotti, anch'egli da folgorato sulla via di Arcore dopo essere stato tra i fondatori di FLI, di cui era responsabile degli enti locali, e organizzatore del famoso incontro di Mirabello quando a settembre scorso Fini sembrava scambiato il testo del comizio con Antonio Di Pietro.
Qualche anno fa quando un onorevole cambiava idea o un'azienda faceva un pasticcio con un prodotto ci si ritrovava la casella di posta inondata di lettere di protesta, o al massimo il fax intasato. Solo che quelle proteste rimanevano nei quattro muri dello studio o dell'ufficio.
Oggi lo sconcerto e il livore te lo ritrovi schiaffato sotto la tua foto di Facebook. E magari resta per ore, o giorni fino a quando non eliminerai i commenti negativi, che poi però (con minore intensità col passare dei giorni, ci si augura) riprenderanno.
E allora saresti tentato di "chiudere" il profilo di Facebook. Ma non lo avevi creato proprio per rimanere in contatto con i vecchi e crearti nuovi amici e fan?
Quando prendi delle decisioni controverse o quando ti trovi ad affrontare una "crisis", trascurare un solo forellino della comunicazione porosa in cui viviamo rischia di farti affogare in una ondata di negatività.

lunedì 7 febbraio 2011

Diritto allo stage o diritti nello stage?


Vi è ancora qualche mio allievo che crede di aver “diritto allo stage” senza domandarsi quali diritti avrà “nello stage”. Definirli illusi o ingenui implicherebbe una fuorviante giustificazione: la loro mancanza di consapevolezza arreca un danno morale ed economico ai loro coetanei preparati e consapevoli. Sono dunque colpevoli, verso loro stessi e gli altri, almeno quanto i politici e i sindacalisti che hanno eluso il tema in tutti questi anni.

La cosa più penosa dei 10 punti elaborati dalla CGIL in merito ai tirocinii dopo anni di fragoroso silenzio è che i punti più importanti sono messi alla fine (punto 9: pari diritti tra stagisti e lavoratori; punto 10: microrimborso spese da 400 euro).

Non mi soffermerò sui dettagli dei 10 punti che possono essere recuperati dal link che ho indicato. Segnalo solo che molti di essi suonano meno superflui che beffardi per i tanti che hanno esperienza in stage plurimi (punto 3: Lo stagista ha diritto a un tutor. Ok, e se, come capita in tanti stage-tarocchi, che il Tutor se ne freghi?).

Le questioni mi sembrano altre che provo a elencare: 1. perché il partito democratico cui si richiama la maggioranza della CGIL non ha promosso mai una legge di tutela e valorizzazione del lavoro giovanile di primo inserimento? 2. perché il decalogo si riduce a chiedere un rimborso spesa di 400 euro con i quali non ci paghi neanche una stanza a Roma o a Milano? 3. perché non vengono proposte sanzioni per le imprese che sfruttano gli stagisti?

Ma vorrei anche che chi frequenta il mio blog, i miei allievi attuali e quelli passati più o meno remoti, collaborino proponendo invece idee davvero concrete e frutto di condizioni materiali vissute sulla loro pelle e sofferte nella loro dignità violata.

Questa campagna “Non Più”, mi sembra un'escamotage, abbastanza vile, che la CGIL ha messo in atto per subappaltare a una agenzia di comunicazione digitale il confronto con il mondo giovanile. Per eludere ancora una volta il dramma di una generazione che si ritroverà a vivere in un paesaggio sociale ed economico devastato, impoverito, defraudato del futuro da chi ci è passato prima di essa.

Una waste land in cui ci toccherà vivere e di cui solo qualche politico ha il coraggio di parlare.