giovedì 29 novembre 2012

L'intellettuale twittarolo




Cosa implica vivere in un mondo twitterizzato?
Fino a un decennio fa il media di massa televisione era la distrazione e lo sfogo delle pulsioni dei meno colti. L’intellettuale non guardava la televisione, anzi, millantava addirittura di non avere il televisore in casa.
Oggi invece l’intellettuale al passo con i tempi è non solo sempre connesso ma cura anche con costanza le sue interazioni su facebook e soprattutto su Twitter. Un intellettuale che non è su Twitter è come un intellettuale che dieci anni fa  non partecipava al dibattito pubblico dalle colonne di quotidiani e riviste o attraverso le relazioni ai convegni o gli incontri con gli studenti: ovvero irrilevante, pressoché inesistente.
Oggi devi esserci su Twitter. E per esserci devi twittare con costanza e quando non hai contenuti tuoi da diffondere devi ritwittare cose di altri, possibilmente sempre interessanti o almeno curiose, capaci di generare traffico. Eppure, un recente report di hubspot dimostra che molti di coloro che fanno retweet nemmeno leggono quello che vanno a diffondere: lo fanno per simpatia, per intuito, per ansia di visibilità, magari semplicemente perché scatta in automatico il ditoo indice sul telefonino, senza pensarci. E non mi stupirei di scoprire che a fine giornata pochi ricordano cosa hanno ritwittato, soprattutto tra coloro che sono “ritwittatori” seriali. 
 Il cervello umano, potenzialmente è capace di processare 400 miliardi di bits di informazione al secondo, si trova oggi al centro di flussi di informazione di cui potrebbe percepire solo la scansione senza comprenderne il valore.
Gli intellettuali al contrario hanno sempre lavorato sulla lunga durata cognitiva, sulla capacità, affinata in anni di studio, di sedimentare le informazioni e ricavarne sapere. La differenza storica tra un intellettuale e un giornalista risiedeva proprio in questa diversa velocità, che consentiva al primo di concedersi il lusso della riflessione e della contestualizzazione colta rispetto al secondo costretto a rincorrere il fatto bruto del momento.
Cosa succede se anche coloro che hanno strumenti di analisi raffinati che si sviluppano in tempi lunghi si fanno prendere dalla foga della visibilità del momento?  Perché tanti presunti uomini di cultura non colgono i limiti dei media sociali quando si tratta di elaborare e presentare messaggi più complessi? Un mondo che si racconta in 140 caratteri è un mondo frammentato, in cui anche la cultura rischia di esserlo.Insomma, sta emergendo una nuova figura, l'intellettuale twittarolo, uno che compulsivamente agita le dita sul suo tablet o telefonino, ricercando il retweet, la citazione, l'accumulo di follower. Oramai sono aperte disfide all'ultimo click: come ironizzavo nel precedente post, il blogger come il giornalista di fama come l’intellettuale free lance (ovvero: un tanto al chilo e parlo di tutto) sono oramai attentissimi a pesarsi non in base alla qualità di quanto si scrive o dei contenuti che si sanno trovare e diffondere ma in base al numero di like e di follower, parametri parziali, meri numeri dei quali poco intuiamo le logiche e meno sappiamo cosa indicano (sull’argomento Stefano Besana ha scritto un ottimo post).  Dato che il personal branding è tutto, e senza di esso non si viene chiamati a nessun convegno, non si viene ingaggiati da nessun giornale e si vendono pochi libri, l’intellettuale twittarolo cura costantemente la sua visibilità online, il che implica distribuire tra i 5 e i 20 tweet al giorno.  E in questa immensità di retweet s’annega il pensiero di un cervello che fino a cinque anni fa sarebbe stato impegnato in erudite ricerche di archivio e nella stesura di testi dalla scrittura solida.
Perché poi la domanda è banale quanto inevitabile: ma l’intellettuale twittarolo dove lo trova il tempo per leggere, sotto qualsiasi formato, qualche libro?

lunedì 5 novembre 2012

L'ansia da reputazione


Una nuova ansia assilla il maschio telematico (ma anche la femmina).

Se per secoli il maschio si è confrontato con i suoi simili celebrando erezioni telescopiche e durevolezze che sfidavano le ere geologiche, oggi gli esemplari più evoluti e e socialmediamente più raffinati puntano a sviluppare una ipertrofica Reputazione Digitale, metro ultimo e definitivo della loro cibercelebrità e delle loro qualità di markettari digitali.

Eh sì, l’evoluzione sociale passa attraverso quel che si mette in mostra di se. Ne passavano di anni luce tra il cafone erotomane che sbraita “tengo ‘na mazza tanta” (pensate a qualche deprivato sociale e culturale? E invece leggete qui) e il cafone arricchito che esibiva una Mercedes così lunga da far sospettare un suo precedente utilizzo come carro funebre. Ora queste tipologie subumane sono state superate e sublimate dal superuomo (e anche superdonna) digitalizzato, il quale, grazie all’uso combinato e compulsivo di tutti i media sociali conosciuti, di massa o di nicchia, punta non tanto ad attributi fisici o materiali ma alla sua Reputazione anzi, alla sua Reputation. E chi sei, se non un #Poernano, se hai meno di 8000 followers su Twitter? Se davvero conti qualcosa come minimo devi avere un secondo profilo  su Facebook, aperto per gratificare tutte le migliaia di persone che questuavano di entrare tra i tuoi amici dopo essere stati anticipati dai primi 5000 privilegiati del profilo numero uno. Oggi il superuomo digitalizzato afferma con orgoglio: “ho un Klout a 76” e tu che sei sotto 60 non sei nessuno”. E visto che i giornalisti della carta stampata hanno scoperto nella stessa settimana addirittura che esiste un qualcosa come il misterioso e potentissimo Klout (un algoritmo le cui logiche non sono pubbliche e criticatissimo da chiunque si occupi di media sociali), che è stato elaborato il concetto (generico e fuorviante, se assolutizzato) di influencer, che addirittura Twitter funziona diversamente da Facebook (impegnandosi a fondo scopriranno che ci sono addirittura decine e decine di altri siti di social networking), allora diamogli una mano e facciamogli sapere che Google ha un servizio abbastanza sottaciuto che si chiama “Io sul web” che aiuta a monitorare e anche a ripulire la propria identità digitale, che il RepScore di Naymz ti indica da uno a cento la tua reputazione sui media sociali (così Repubblica potrà raccontare di un altro strumento misterioso usato dagli accoliti di Grillo), che Reputation.com ti consente sì di eliminare contenuti e immagini imbarazzanti ma non riesce ancora a fare molto per cancellare i permalink che testimoniano l’arroganza e l’ignoranza dei giornalisti che trattano e parlano di cose che poco conoscono.

Orrore! l’ultima sgarzolina di agenzia ha un Klout più alto del blogger pluripremiato: ecco che l’ansia da reputazione inizia ad assillare chi opera nella comunicazione digitale.  Sarebbe proprio il caso di dire: non facciamoci le pippe! Chi li ha, diffonda sul web contenuti intelligenti ed efficaci. La reputazione verrà da sé, parola di ciberandrologo.