lunedì 30 marzo 2009

Lui ci crede davvero: la online town hall di Obama

Ritorno sul tema delle strategie di comunicazione orizzontali di Barack Obama, presentandovi il primo esperiemento di "online town hall"dell'Amministrazione americana che si terrà domani mattina ora di Washington (stanotte per l'Italia).
Nel caso Obama non si tratta di una presidenza partecipativa e nemmeno della sondaggiocrazia autocratica sviluppata in Italia da Berlusconi. Lo staff di Barack Obama non decide dopo aver compulsato, alla Sessantottina, le opinioni di tutti i partecipanti all'assemblea e acquisito l'opinione prevalente, e nemmeno si lascia orientare dai sondaggi, che rilevano quotidianamente gli orientamenti di una opinione pubblica tanto incompetente sui temi su cui dice la sua quanto più è condizionata da una informazione parziale basata solamente sulla fruizione televisiva.
L'obiettivo è quello di creare una "online town hall", un municipio digitale, aperto costantemente al contributo di tutti. Gli assi della strategia di "Organizing for America" sono mobilitazione e coinvolgimento.
La mobilitazione consente di mantenere attivi tutti i sostenitori della campagna elettorale offrendo loro strumenti elettronici di persuasione (video e email da diffondere viralmente, approfondimenti, ecc.). Il coinvolgimento, come il caso che presentiamo, attraverso la partecipazione alla "online town hall" e la relazione diretta con Obama, offre a tutti la possibilità di aprire un dialogo con il Presidente (ma anche di essere maggiormente rafforzati nella loro mobilitazione). Si tratta di strumenti che puntano a tenere attiva la larghissima base online dei sostenitori del Presidente e di fare costantemente lobby dal basso a sostegno delle decisioni della sua Amministrazione, visto che i partecipanti a queste iniziative sono anche coloro più informati, con la dieta mediatica più variegata. A fianco a questi strumenti restano le interviste televisive, che raccontano i provvedimenti a una platea molto più vasta e molto meno attiva.
Ed ecco avoi l'invito:

Organizing for America
Biagio --

I wanted to tell you about an exciting new feature just launched on the White House website called "Open for Questions."

Here's how it works -- President Obama is inviting everyone to ask a question about the economy and to rate other questions up or down.

On Thursday morning, the President will conduct an online town hall on the economy and answer some of the most popular questions live.

Watch a video of the President explaining this new feature and be a part of it now.

"Open for Questions" is an opportunity to open up the White House to all Americans.

It's an experiment designed to encourage transparency and accountability by giving you a direct line to the White House.

This first round will deal with the economy. Americans deserve to know what their government is doing to get our economy back on track. But it's up to you to participate and make this experiment a success.

Join the discussion now:

http://whitehouse.gov/OpenForQuestions

Thanks, and remember to check back Thursday to watch the President answer some of your questions live.

Mitch

Mitch Stewart
Director
Organizing for America


venerdì 20 marzo 2009

Il maestro è tornato! Alleluja!

Aldo Busi ha offerto oggi alla letteratura italiana un mezzo paragrafo di testo sublime. Ritorna in mente l'incipit di "Seminario sulla gioventù", che è stato l'esordio e la cifra costante del percorso dello scrittore:

«Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo ad un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quanto poi si è rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato»

Ed ecco il testo che Busi ha pubblicato oggi su Dagospia.

"Due morosini! Che carine le coppiette di post-adolescenti che parlano fitto fitto faccia faccia al minuto tavolino di un ristorantino francese dall'altra parte della Manica e dunque qui in questo preciso istante, lei, seriosa per intensità di sguardo fisso negli occhi altrettanto azzurri di lui, ovale imperfettibile, i capelli biondo miele arruffati come appena saltata fuori dal letto, in apparenza senza trucco però le palpebre nerissime e lunghissime una separata dall'altra, le belle braccia nude e lui, biondo rosato, di una educata rudezza, virile con scioltezza, una peluria a pizzetto sul mento, il profilo elegante, irregolare, le labbra carnose quasi violacee, tumefatte e screpolate di recente, ecco, lui che ora con una mano pilucca una patata e con l'altra sotto il tavolino va a farle il grattino al gomito! E che equilibrio tra il prendere e il dare, che rispettosa generosità, che armonioso sentimento di appartenenza. Chissà che letture hanno fatto. Questi due mica spinellano o sniffano, sono troppo semplici e ben allevati, questi non hanno bisogno di un vuoto di memoria per tirare avanti rompendo i coglioni al mondo perché se li rompono loro, questi due erano già sfuggiti alle trappole di massa ognuno per conto suo prima di incontrarsi, questi due stanno bene insieme perché starebbero bene anche ognuno per sé. Oh, come sono splendidi, e rari! Dunque la vita avrebbe potuto essere un po' così, almeno il tempo di arrivare in due dalla bistecca alla panna cotta. Ah, come mi incanta l'amore, come mi rallegra che esista in qualche carne intelligente ciò che fa per me solo a parole!"

Il rammarico per una vita che più la si vive e più ci sfugge, una vita che forse si può vivere solo guardando le vite degli altri e fingendo vite (la nostra, la loro) che potranno avere bellezza e coerenza solo se scritte. "Dunque la vita avrebbe potuto essere un po' così..."

Ascesa e caduta della free press

Sembravano essere una frontiera del giornalismo, e ancora lo sono in tanti paesi. Non una frontiera basata sulla qualità e sul racconto del mondo che aveva fatto la storia dei grandi giornali, ma una semplice ed essenziale (soprattutto in paesi poco adusi alla lettura come l'Italia) informazione su quanto è accaduto il giorno prima. Ma la crisi della pubblicità non risparmia la cosiddetta free press, la stampa quotidiana gratuita che in Italia viene letta da almeno 3 milioni di persone al giorno che comunque non reputano utile spendere 1 o 1,5 euro per un quotidiano tradizionale.
Iniziano a chiudere le prime testate gratuite in giro per l'Europa. Ipotizzo che questo modello potrà resistere bene solo in Europa orientale dove il costo del lavoro giornalistico è estremamente più contenuto rispetto a quello dell'area occidentale. Nell'articolo del Financial Times che riprendo di seguito l'unico orizzonte possibile dell'informazione gratuita sembra internet. Non ne sono persuaso. Anche il cartaceo meramente informativo potrà avere uno spazio in futuro ma solo se coglierà questa crisi per cambiare i modelli organizzativi (azzerrare la redazione e far lavorare tutti i collaboratori da casa), i modelli di fruizione attraverso i siti web aggiornati costantemente e differenziando i momenti di uscita, le offerte pubblicitarie (la pubblicità a stampa è forse quella meno efficace come viene proposta oggi).
C'è molto da riflettere ma oggi sono pigro e mi fermo qua.

'Free newspapers are in the frontline trenches of this war'

By Ben Fenton, Chief Media Correspondent

Published: March 17 2009 02:00 | Last updated: March 17 2009 02:00

Not long ago, freesheets were seen as the nemesis of the paid-for newspaper. Now it seems at least as likely that the free newspaper model will be the first to fail.

Sly Bailey, the chief executive of Trinity Mirror, which publishes more than 100 free titles around the UK, says: "Free newspapers are in the frontline trenches of this war, simply because they only have advertising revenues."

Across Europe, newspaper groups are struggling to cope with advertiser migration to the internet as well as recession. Both represent the most serious threat of their type that the industry has faced in peacetime, Mrs Bailey says.

It is noticeable that companies with the most serious threats to their existence have a strong element of free newspapers in their portfolio. Mecom, the UK-listed publisher with operations in the Netherlands, Germany, Poland and Scandinavia, has postponed talks with its creditors as it struggles to sell off assets. Last month, Metro International, the world's largest publisher of free papers, announced plans for a rights offer after admitting it had breached its debt covenants and did not have sufficient working capital for the next 12 months.

Metro, which is Swedish-controlled and has daily readership of more than 18m from 81 editions in 22 countries, was looking to raise SKr550m ($65m, £46m, €50m) through its issue to shareholders. But later in February it announced it had received a takeover approach. Metro had already suspended operations of its fully-owned titles in Spain.

In the UK, Trinity Mirror and the rival Johnston Press, which between them publish around 230 freesheets, have both released dismal results in recent months, where the only bright spots were increases in circulation revenue at their paid-for titles.

Simon Baker, analyst for Credit Suisse, says that for regional newspaper groups in Europe, demand is still relatively strong and it is the advertising inventory that is really hurting. "The real solution for newspapers is to increase cover price to a new equilibrium to reflect better the balance between the consumer who really wants to read their content - and they really do - and the declining advertising demand," he says. "Obviously, for a regional newspaper publisher for whom the freesheet was the business model, that is a fundamental challenge."

Free papers were successful against paid-for incumbents because of their cheapness to produce. Nothing, however, that print has so far been able to think of is anything like as nimble as the internet.

sabato 14 marzo 2009

Un credito "knowledge-driven"


La crisi finanziaria globale ha svelato come i criteri di assegnazione del credito si basavano su valutazioni irrealistiche della capacità di produrre reddito delle famiglie e su aspettative a dir poco ottimistiche sulla capacità del mercato immobiliare di crescere indefinitamente.
Si arrivava all’assurdo di indebitarsi ben oltre le proprie possibilità per comprare una casa che poi veniva utilizzata come garanzia per ottenere altro credito circolante.
Certo, dietro queste politiche vi era una chiara opzione politica di sostenere la crescita attraverso i consumi a debito: una specie di personal deficit spending mentre negli USA il deficit spending statale era indirizzato nelle “guerre umanitarie” di Bush (salvo poi dire “I was wrong, sorry”).
La assoluta irrazionalità degli assunti sulla base dei quali si distribuiva credito ne svela in realtà la ordinaria arbitrarietà. Le banche sono aduse a utilizzare parametri diversissimi di valutazione del rischio a seconda che il richiedente possa vantare una buona patrimonializzazione o buone relazioni, se possa vantare un’azienda in salute o un’idea sostenuta da forti sponsor politici. Certo, vi sono dei modelli di risk management piuttosto raffinati ma basta una telefonata o la correzione di un parametro e un semaforo rosso diventa immediatamente verde.
Ma allora se l’allocazione del credito è stata finora tanto arbitraria sarebbe più sensato, sulla scorta dei modelli sviluppati negli ultimi anni di valutazione degli “intangible assets” di un’impresa, iniziare a concedere credito ai giovani sulla base della conoscenza/formazione da loro accumulata, sulla base della loro reputazione professionale (potrebbero farsi garanti aziende e singoli disposti a farli lavorare), riconoscendo a questi giovani la possibilità di creare valore aggiunto al contesto sociale e culturale in cui andrebbero a lavorare, anche oltre l’attività professionale in quanto tale. Un giorno, oltrepassata la crisi del credito, bisognerà pensare al credito indirizzato verso i giovani talenti non più o solo come prestito d’onore o valorizzazione delle idee ma soprattutto come forma di investimento sul contesto sociale che si vuole realizzare.
Ci si augura solo che, quando la crisi sarà passata, esisterà ancora un’economia della conoscenza italiana capace di assorbire nuove professionalità.