domenica 29 giugno 2008

I peggiori posti dove lavorare


Per parafrasare Marx: siamo passati dall’esercito industriale di riserva dei contadini dell’Ottocento, disposti a farsi sfruttare nelle fabbriche per pochi soldi certi piuttosto che vivere gli stenti delle campagne, all’esercito intellettuale di riserva, ovvero i giovani laureati e “masterizzati”, disposti a farsi sfruttare in aziende e in agenzie di pubblicità o di comunicazione pur di fare esperienza e non rimanere a spasso.

I tassi di sostituzione degli stagisti sono altissimi e spesso bisogna attivare intricate reti di conoscenze per sapere se quell’agenzia ha una buona reputazione o se quel dirigente con cui si andrà a lavorare non è prossimo allo schizofrenia.

Propongo allora ai quattro lettori del mio blog un gioco di società: perché non evidenziare nei vostri commenti, in modalità anonima se volete, le peggiori agenzie e aziende dove lavorare, quelle insomma, per esperienza diretta o di amici a voi vicini, dove la convivenza è pari a quella di un lager, dove il grande capo è un cialtrone amante dei leccapiedi, dove gli stagisti dovrebbero chiamare in soccorso la lega anti vivisezione.

Un giochino con il quale parecchi di voi potrebbero togliersi qualche sassolino dalle scarpe…


lunedì 16 giugno 2008

Pigrizie mentali 3

(un'immagine dallo spot dell'incomprensibile campagna di Capitalia "Tutto puo' cambiare")

Pongo la domanda ai miei amici ed ex studenti comunicatori: perche' i direttori della comunicazione di tante aziende spendono milioni di euro in pubblicita' poco efficaci e spesso brutte e poi nemmeno pensano di assumere qualche giovane professionista per fare media monitoring? Nell'epoca delle community web, dei canali televisivi all news, dei blogger con visibilita' mondiale, questi grandi comunicatori nazionali restano legati alla loro buona e tranquillizzante agendina con i telefoni dei giornalisti della carta stampata o, al massimo, dei principali telegiornali.
Il monolitico, monotono, monoteistico culto della rassegna stampa mattutina, oramai solo la punta dell' iceberg di tutto quello che il mondo dice della tua azienda, resiste grazie alla pigrizia annoiata di persone che temono di perdere il controllo (piu' presunto che reale) della comunicazione, avventurandosi a dialogare con attori e territori che non sono condizionabili dai regali natalizi o da do ut des meno confessabili.
Si potrebbe almeno iniziare ad osservare questi nuovi mondi della comunicazione e delle communities, offrendoli allo sguardo di occhi giovani e motivati. Invece no. Meglio un'altra campagna pubblicitaria per spalmare qualche milione di euro sulle testate da cui aspettarsi future benevolenze. E questo anche perche' non vi e' campagna pubblicitaria che non faccia rimbalzare parte dell'investimento pianificato nelle tasche del manager che l'ha commissionata.
Quanti posti di lavoro nel campo della comunicazione si potrebbero creare in Italia se vi fosse un nuovo approccio ai media da parte dei manager della comunicazione?

domenica 15 giugno 2008

Piu' notizie, meno infotainment



Adbuster (
www.adbuster.com) e' uno dei gruppi di analisi dei media e controinformazione (culture jamming) piu' importanti al mondo. Il gruppo di Vancouver ha lanciato una petizione online per chiedere una riforma dei modelli informativi globali oggi in auge. Al di la' dei risultati immediati, mi sembra importante sostenere e diffondere iniziative che dal basso facciano sentire ai grandi gruppi editoriali le esigenze emergenti tra coloro che fruiscono dei loro media. La petizione inizia cosi':

We, the undersigned, are troubled by the way information flows and the way meaning is produced in our society.

WE HAVE LOST CONFIDENCE in what we are seeing, hearing and reading: too much infotainment and not enough news; too many outlets telling the same stories; too much commercialism and too much hype. Every day, this commercial information system distorts our view of the world. (...)

Il link per firmare la petizione e' http://adbusters.org/campaigns/mediacarta/sign

venerdì 6 giugno 2008

Toni Negri e l'immateriale



Sull'ultimo numero del mensile di filosofia Diogene edito dalla Giunti si trova un'intervista a Toni Negri che parla anche del lavoro immateriale:


"(...) è necessario far riferimento al lavoro immateriale, o cognitivo. Questo è definibile come il lavoro in cui prevale l’elemento mentale-culturale sugli elementi materiali e di addestramento dei sensi. Il lavoro immateriale, utilizzando uno strumento tecnico-materiale (ad esempio, il computer) di solito in rete, si definisce come lavoro intellettuale e insieme come lavoro socializzato-comunicativo. Talora ci si illude di poter definire questo tipo di lavoro come “libero”, in realtà anch’esso è salarizzato e si riduce, per così dire, a lavoro “operaio”. Tuttavia, al di là di questa riduzione, emergono importanti e decisivi elementi di differenza. In realtà, in ogni tipo di lavoro, c’è sempre stata una componente cognitiva: nessun operaio è mai stato semplicemente “mani callose”, si è sempre anche costituito come forza intellettuale. Tuttavia, qualsiasi seria analisi del lavoro deve riconoscere che, prima, il lavoro (nella sua materialità) era assunto nella sua astrazione, cioè quantificato nella sua totalità o in unità discrete, che era ripetibile, che era calcolato su unità di tempo prefissate. Oggi, paradossalmente, il lavoro produttivo (immateriale) è invece sempre più concreto, nel senso che esso vuole singolarizzare un bagaglio di conoscenze nell’atto del lavoro. Ricordo, ad esempio, durante le mie prime esperienze come sociologo qui a Parigi, che, già quarant’anni fa, nelle officine dei TGV di Saint Denis non c’erano più operai tradizionali, ma solamente tecnici che “auscultavano” il treno come fossero medici. Le vecchie leggi di regolazione del lavoro, basate su criteri di astrazione e controllo dei tempi, sono quindi venute meno. Non è concepibile, in altre parole, racchiudere il lavoro attuale (che ha una figura singolare) in limiti di tempo che ne definiscano il valore: se si lavora a un progetto, ad esempio, questo può occupare mentalmente il soggetto molto più a lungo delle ore impiegate per la sua realizzazione. Il 3X8 (8 ore di lavoro, 8 ore di tempo libero, 8 ore di sonno), caratteristico della giornata lavorativa tipo, salta. Venendo meno l’orario della giornata di lavoro, è venuta meno anche la contrattualità classica, sindacale, e ciò lascia spazio a maggiori flessibilità (nel tempo) e mobilità (nello spazio) lavorativa: si può lavorare a casa, in macchina o di notte. Naturalmente, queste attuali forme di lavoro debbono essere attraversate da una nuova lotta di classe per combattere l’imporsi di nuove forme di divisione, sfruttamento e precarizzazione del lavoro."

Potete trovare tutta l'intervista al seguente link: http://dagospia.excite.it/articolo_index_41023.html

Ritengo che sfugga a Negri una trasformazione ulteriore, ovvero quella che parte dal lavoro immateriale e arriva a trasformare l'intera vita dei soggetti, in termini di racconto di sè, di prospettive di vita, di sistemi valoriali. In sintesi: l'identità si costruisce non più sul lavoro, sulla produzione, ma sul consumo, materiale e simbolico. Gli stessi legami sociali si rafforzano attraverso le occasioni di consumo.
Un redivivo Marx oggi visiterebbe con più interesse i centri commerciali che le fabbriche postfordiste.

mercoledì 4 giugno 2008

Rai, di pochi, di meno

La sinistra celebra da sempre la RAI come la più grande industria culturale del Paese. Potrebbe anche essere vero, solo che la sinistra (figuriamoci la destra) non ha mai proposto un piano strategico che coinvolgesse la RAI nello sviluppo culturale degli italiani. Ci si è sempre accontentati di dividersi scranni, poltrone, seggiole e strapuntini, senza dimenticare i posti in piedi. D’altra parte se c’è proprio un’azienda italiana che smentisce la presunta diversità della sinistra nella gestione della spartitocrazia questa è proprio la RAI.

Se fosse vero che la RAI è un’azienda culturale qualcuno dovrebbe proporre di arricchirla con giovani intelligenze e nuovi percorsi culturali. Insomma, un piano di assunzioni attraverso un concorso rigorosissimo (almeno più duro degli esami di ammissione alla Normale di Pisa) di cinquanta giovani all’anno per i prossimi dieci anni, aperto a giovani più colti e intelligenti d’Italia. Per ridurre il rischio di raccomandazioni si potrebbero mettere online i risultati e le prove di tutti i candidati, così la commissione di valutazione si troverebbe sotto il controllo dell’intera nazione.

Ma nessun politico potrebbe mai appoggiare una proposta del genere. Il signor Valter, che da sempre è attentissimo alla spartitocrazia televisiva, e Re (Viagra) Silvio si troverebbero troppe persone non più controllabili dentro un baraccone che fa comodo tenere nello stato da encefalogramma piatto in cui si trova.

Troppa poca competenza e troppa politica: la tradizionale pozione italiana per distruggere le aziende pubbliche.