martedì 10 luglio 2012

La crisi dell'editoria e la crisi del marketing del gratuito

 I contenuti trionfano e l'editoria è in crisi: sembra questo il leit motiv di questi ultimi mesi.
Oramai tutti vogliono fare marketing attraverso i contenuti. I contenuti sono diventati la merce e l'esca con cui moltiplicare relazioni, costruire reputazioni, sviluppare transazioni economiche.
E d'altra parte i dati di vendita più recenti delle testate di informazione e quelli relativi ai libri mostrano che ci si sta avvicinando a un punto di non ritorno per il quale bisognerà ripensare del tutto i contenitori di contenuto a stampa.
Le recenti riflessioni dei Wu Ming mettono poi in discussione uno dei principi dell'economia della conoscenza: ovvero che la distribuzione gratuita di contenuti basti da sola a veicolare i fruitori verso forme a pagamento della fruizione (musica gratis per costruirsi un pubblico per i concerti a pagamento, libri in download gratuito per poi portare i nuovi fan a comprare le copie cartacee).
La contrazione del potere d'acquisto di tante persone, la diffusione di tablet e smartphones, la disponibilità online di copie crackate di libri e quotidiani, l'incremento del tempo destinato alla lettura su internet per leggere email, articoli, ebook, post e tweet a discapito della lettura cartacea classica sono tutti fenomeni non passeggeri che in poco tempo hanno cambiato lo scenario in cui poteva svilupparsi la catena del valore dei contenuti. Gli anelli di questa catena del valore oggi monetizzabili, e quindi capaci di garantire un reddito a chi li ha realizzati, sono sempre di meno e sempre meno pregiati. L'accesso universale alla conoscenza sostenuto dalle logiche del copyleft e dei creative commons comportano una cessione di valore e di monetizzabilità potenziale da parte dei creatori di contenuti verso i fruitori. In cambio abbiamo una diffusione e una fruibilità di contenuti mai vista nella storia dell'umanità. Lo scambio sembra a tutto vantaggio di chi fruisce passivamente dei contenuti ma fino a che punto questo scambio squilibrato potrà esistere? Siamo già giunti dentro un'epoca in cui i creativi e i produttori di contenuti anche complessi ed elaborati dovranno rinunciare a poter mantenersi con il loro lavoro creativo? In tanti dovranno sperare in premi e varie liberalità per poter sopravvivere? Trasformare le presentazioni dei libri in happening simili a performances o concerti dove lasciare un obolo (come propongono i Wu Ming) è una strada percorribile? E per chi?

La grande contraddizione dell'economia della conoscenza è che essa sembra funzionare bene in termini di monetizzabilità solo quando la conoscenza è resa scarsa, chiusa o non accessibile attraverso contenitori, norme, licenze o software proprietari oppure quando si creano delle piattaforme (come i media sociali ma anche EBay) in cui i contenuti sono ceduti gratis dagli utenti. 
Come unire gratuità, accesso alla conoscenza e giusta remunerazione dei creatori di contenuti?
Il contenitore libro e il contenitore quotidiano/rivista (contenitori per definizione chiusi), oramai in declino irreversibile, potranno essere sostituiti non dalle loro banali versioni digitali ma da modalità transmediali capaci di unire accesso e monetizzabilità attraversando vari media e coinvolgendo molteplici fruitori?
Si riuscirà a trovare una tecnologia che, forse attraverso una semplificazione dei micropagamenti, riuscirà a fare tutto questo? Si pensi solamente a tante testate locali online che promuovono anche il giornalismo partecipativo e che potrebbero trovare facilmente un equilibrio dei conti se ogni visualizzazione dei loro articoli venisse pagata appena un centesimo. Il sistema di pagamento potrebbe essere incorporato dentro il browser.
Idee e spunti in abbozzo certo. Ma chiunque ami la conoscenza e la cultura dovrà porsi il dilemma su come continuare ad alimentarle.