domenica 27 luglio 2008

Dal prodotto al brand


Qualche giorno fa mi sono ritrovato tra le mani il depliant di un potenziale cliente.
Il testo sgrammaticato, i concetti da decodificare con pazienza, l'impaginazione e i colori sgraziati. Ma non si può accusare il capoazienda, anzi.
L'Italia è piena di piccoli e medi imprenditori i quali, partiti da un approccio di alta artigianalità e grazie a grandi sacrifici economici, sopportati spesso da tutta la loro famiglia, sono riusciti a produrre prodotti migliori con una gamma più ampia, a ingrandire la rete di vendita, a moltiplicare il numero di dipendenti, spesso considerati quasi come allievi.
Chiedere a questi imprenditori di avere competenze di comunicazione, di branding, di marketing evoluto, sarebbe troppo, eppure la sfida della piccola e media impresa italiana si gioca proprio lì, sulla capacità di raccontare, narrare i prodotti di eccellenza nascosti in tante parti d'Italia, di "impacchettare" semanticamente le produzioni locali per trasferire ai consumatori i significati stratificati in un territorio su un prodotto nel corso di decenni o secoli di esperienza. Ma chi dovrebbe aiutare in questa sfida i piccoli imprenditori? Per un singolo imprenditore ingaggiare le società di consulenza costa troppo e non saprebbe neanche cosa chiedere. Le Università sono distantissime dalle piccole imprese. E chi altri poi? Lo Stato? Le Regioni? Le Provincie? Le associazioni di categoria?

Ci vorrebbe un grande sforzo condiviso da parte degli enti e delle associazioni locali per creare dei bandi a livello di distretto o di provincia al fine di offrire a costo zero o quasi servizi di marketing, comunicazione e branding. A questi bandi potrebbero partecipare non solo grandi società di consulenza ma anche singoli professionisti associati. Nel contempo si potrebbe anche pensare alla costituzione di agenzie legate ai territori che si occupino specificatamente di questo aspetto dello sviluppo aziendale. Si tratterebbe di erogare un costante servizio a disposizione di tutti gli associati o delle aziende sul territorio. Questi servizi potrebbero essere finanziati da un insieme di attori istituzionali ed economici del territorio ma la stessa agenzia potrebbe provare a concorrere per ottenere fondi europei o assistere le imprese clienti nelle pratiche per ottenere finanziamenti per sviluppare gli aspetti immateriali della sua offerta.
D'altra parte abbiamo aziende di promozione per l'internazionalizzazione, società per la innovazione tecnologica, strutture di consulenza per la raccolta di capitali, agenzie di per lo sviluppo del territorio ma nessuna, davvero nessuna realtà consortile o associativa o simili che offra assistenza nellìevoluzione delle piccole imprese sotto il lato della loro comunicazione e di tutti gli aspetti immateriali della loro produzione.

Sarebbe il caso che anche la FERPI aprisse un dibattito al riguardo. O no?

(sarebbe anche bello ricevere al riguardo commenti da parte di qualche iscritto alla FERPI)

sabato 19 luglio 2008

La laicità è come un prato



La laicità è come un prato destinato ai giochi dei bambini.

Alcuni preferiscono divertirsi con il calcio, e saranno la maggioranza. Altri, sempre più, vorranno organizzare partite di rugby. Forse qualcuno vorrà impegnarsi in una specie di hockey su prato. Ci saranno certamente coloro che vorranno giocare come una volta a mosca cieca o a nascondino. E ci saranno anche i bambini che vorranno usare il prato per sdraiarsi a leggere un libro o che si lasceranno già incantare ad ammirare la natura.

Chiunque capisce che sarebbe ingiusto destinare quel prato solo al gioco del calcio, anche se la loro numerosità illude i calciatori di avere qualche diritto in più degli altri. E così per tutti gli altri sport e per tutte le attività che liberamente possono svolgersi sul prato, ognuna degna di utilizzarlo finquando ci sarà qualcuno che proverà entusiasmo e piacere in esse.

A me piacerebbe stare dalla parte di coloro che curano il prato, lo tengono in buone condizioni e consentono a tutti di giocarci, senza che nessuno se ne appropri.

mercoledì 16 luglio 2008

Italia: grande svendita talenti (fino ad esaurimento scorte)



Questo libro aiuta a capire meglio di tante analisi strettamente economiche perché l'Italia si è inoltrata in un declino che non vede al momento barlumi di svolta.
Un modello sociale in cui le classi dirigenti badano esclusivamente alla tutela delle proprie rendite di posizione, in cui il declinante numero di chances lavorative ed esistenziali di qualità viene ripartito esclusivamente tra i pargoli dei privilegiati, dove avere giovani di talento in azienda diventa un problema dato che non si sa come utilizzarli.
Un paese le cui elites hanno abdicato all'impegno di elaborare una qualsiasi idea di futuro e di sperimentare nuovi modelli di convivenza e di sviluppo adeguati al nuovo contesto internazionale.
Irene Tinagli (una ricercatrice emigrata, ça va sans dire) analizza nel dettaglio tutti gli ambiti, dalle Università alle imprese passando per la politica, dove i talentuosi si devono inchinare umiliati al servilismo dei mediocri verso i capetti di turno.
L'autrice nutre speranze che si possa ripartire proprio dalla voglia di farcela di tanti talenti che ancora non riescono ad esprimersi. Chi scrive ne ha meno.

Irene Tinagli, Talento da svendere, Einaudi 2008