domenica 25 aprile 2010

Particelle elementari (Rassegna stampa/3)

Quello che voleva essere solo un meme, uno spunto di dibattito, come il mio secondo post sui limiti dello strumento rassegna stampa cartacea, ha scatenato commenti anche feroci sul sito della FERPI in cui, tra chi, stizzito, ritiene che scrivo banalità (possibile, ne dico più di una al giorno, invero) e chi mi accusa di fare confusione (come se la stringatezza di un post dovrebbe essere valutata con i parametri di un paper universitario) emerge la necessità di sviluppare dei parametri condivisi di misurazione e valutazione delle uscite sui media sulla base dei quali poi impostare i percorsi soggettivi di indagine e presentazione dei risultati.
La questione secondo me è tutta qui.
Piuttosto che rispondere punto per punto ad osservazioni che ho anche condiviso, ritengo semmai che la comunità dei comunicatori (e la FERPI in primis) debba iniziare a sviluppare una lista di parametri da far confluire in uno schema sulla base del quale poi ogni professionista, azienda o agenzia possa elaborare un suo modello, adattabile alle diverse esigenze dei clienti.
In questo senso c'è tanto da dibattere. Ma dopo esserci anche creativamente insultati bisognerebbe raggiungere alcune acquisizioni univoche, gli elementi di base capaci di caratterizzare l'approccio di tutti i professionisti.

domenica 11 aprile 2010

Il biocapitalismo di Vanni Codeluppi


Vanni Codeluppi è stato tra i primi in Italia ad affrontare le problematiche del biocapitalismo all’interno di un testo esplicitamente dedicato al tema, pubblicato da Bollati Boringhieri nel giugno 2008.

Nell’introduzione e nel primo capitolo Codeluppi riesce a sviluppare in maniera incisiva e profonda alcuni spunti di grande importanza, soprattutto quando ragiona sulle trasformazioni che la conoscenza ha subìto per diventare una merce fungibile e monetizzabile e quando presenta il terzo lavoro degli individui, che al tempo del lavoro e dello svago affiancano il tempo per la fruizione e la diffusione della conoscenza e delle pratiche che sostengono l’intera architettura della società in cui vivono. Ma lo spunto di Codeluppi (che in tal caso cita esplicitamente Angelo Deiana de Il capitalismo intellettuale,2007) poteva trovare maggior spazio nei capitoli successivi, che a volte indugiano a contestare delle pratiche di condizionamento dei consumatori o l’infiltrazione dei media e della cultura da parte delle aziende, fenomeno che, dalle classiche soap operas al product placement, non è proprio nuovo.

Meritava invece maggior approfondimento l’aspetto ideologico, semantico e mediatico del biocapitalismo, ovvero la necessità di capire e analizzare quali sono i meccanismi attraverso i quali (come dice De Kerchove citato da Codeluppi) “si forma una psiche elettronica che propone una paracoscienza collettiva”. Senza questa nuova coscienza collettiva, che a mio avviso rappresenta un salto qualitativo dello sviluppo economico umano, il biocapitalismo non avrebbe potuto svilupparsi.

Il buon vecchio Karl Marx denunciava l’espropriazione di valore dall’individuo sostanzialmente come una espropriazione della sua umanità, che sfociava poi nel processo di alienazione. Come si sa, il filosofo di Treviri pone l’origine del valore tout court nell’uomo e nel suo lavoro. All’epoca il conflitto era ben visibile nella sua materialità: lo sfiancamento di muscoli e tendini dopo una settimana di lavoro in opificio e l’abbruttimento morale e psichico che ne seguiva era innegabile. Spesso i lavoratori ignoranti non avevano la coscienza di classe che Marx invocava ma istintivamente i loro corpi e le loro menti si ribellavano alla fatica fisica.

Ma quando i processi di espropriazione diventano immateriali non vi è più un padrone manchesteriano da indicare come grande sfruttatore. L’estrazione del valore dagli individui avviene attraverso l’adesione a un modello culturale, ideologico ed estetico del tutto astratto, le cui manifestazioni, quali certi film, certi prodotti, certi format televisivi sono gli epifenomeni. Oggi l’estrapolazione del valore può anche avvenire mentre gli individui si divertono, invece che sudare in officina. La centralità passa dalla produzione al consumo e senza l’interiorizzazione di determinati modelli o format da parte della maggioranza degli individui l’intera meccanismo di accumulazione del valore immateriale si blocca.

Forse Vanni Codeluppi si sofferma troppo nella raccolta di tanti epifenomeni quali il branding, i reality, il cinema commerciale e finisce per sfuggire a una ricerca dei meccanismi profondi che sviluppano un’architettura di persuasioni condivise attraverso la quale oggi si estrae valore dagli individui e dagli oggetti.

Insomma, le leggi economiche della scarsità o dello squilibrio tra domanda e offerta non riescono a spiegare né perché una bottiglia di Sassicaia arriva a costare anche oltre 300 euro in giro per il mondo e nemmeno perché tanti giovani laureati e iperspecializzati accettino di donare il loro lavoro e le loro competenze come stagisti a volte anche per anni.

Penso che la sfida sia qui, nell'iniziare a capire ( e a contestare) ideologia, semantica e processi mediatici del biocapitalismo.

A Vanni Codeluppi il merito di aver aperto il dibattito e alcuni sentieri di analisi.

martedì 6 aprile 2010

A che serve la rassegna stampa?/ 2 (e una proposta ai lettori)

Pensare oggi di poter seguire il flusso di informazioni sull'argomento che ci interessa utilizzando solo la rassegna stampa è come usare le vecchie Polaroid nell'epoca delle videocamere digitali. La Polaroid funziona ancora, certo, ma chi non si accorge (o non sa) delle trasformazioni della tecnologia non capisce il mondo dove vive. E se un'organizzazione o un'impresa non capisce il contesto dove opera ha il destino segnato.
Per usare un'altra metafora la rassegna stampa è come quell'orologio fermo che segna esattamente l'ora due volte al giorno. Cosa ce ne facciamo in pratica di un siffatto orologio?
Nell'epoca dell'informazione flusso bisogna sviluppare un monitoraggio dei media capace di seguirne il flusso. Bisogna dunque passare da un logica di rassegna (selezione degli articoli sui mass media riguardo un determinato argomento) a una logica di tracking (tracciare l'origine, lo sviluppo e la diffusione delle notizie su tutti i media, personali, sociali e di massa).
Per fare questo abbiamo strumenti estremamente semplici anche nel nome, come i Really Simple Syndication. Con un RSS feed possiamo sapere cosa dicono i siti web di informazione o i singoli blog su un determinato argomento. Con i reader quali NetVibes, PageFlakes e Google Reader possiamo prendere il meglio delle funzionalità sia dei reader web-based (come yahoo o google) sia di quelli stand-alone (come NetNewsWire per Mac, Sharpreader per Windows) per raccogliere le occorrenze delle varie notizie e leggerle e analizzarle, anche offline, organizzate in folder.
Ora viene da chiedersi perché così poche aziende italiane si dedicano a questo tipo di news tracking, estremamente semplice da sviluppare.
Anzi, lancio un dibattito tra i miei quattro lettori: chi di voi conosce aziende o agenzie di comunicazione che utilizzano quotidianamente gli RSS feed per monitorare i settori o le tematiche di loro interesse? E se sì, come e quando li utilizano? E infine, che uso fanno delle notizie così tracciate?