domenica 17 maggio 2009
Mitografi
In Miti d'oggi Roland Barthes ci ha fatto capire cosa significassero per il senso comune il volto della Garbo, l'iconografia dell'Abbè Pierre, il matrimonio della Regina Elisabetta.
Era il tempo (gli anni Cinquanta) dei persuasori occulti e la televisione, la cui debordante mitologia ha fagocitato poi tutte le altre (il cinema, il teatro, la musica), appena lumeggiava nelle prime case, ancora elettrodomestico e ben lontana dal diventare il mondo in cui tanti vivono oggi.
Ma attraversiamo cinquant'anni e veniamo a due mitologie recenti: Jade Goody e Susan Boyle. L'una senza alcuna qualità, l'altra voce talentuosa. L'una facile al sesso, l'altra pressoché improponibile. Una con un linguaggio sboccato e volgare, l'altra timida e volontaria in chiesa. Due dimensioni distanti, eppure esse non sono accomunate solo dal successo televisivo.
L'isteria collettiva che ha accompagnato la malattia e la morte della Goody non è solo frutto di un genio delle pr come Max Clifford. La diffusione planetaria di un'unica, di certo significativa, performance di Susan Boyle non è solo merito dell'abilità a intuire e a indirizzare i gusti musicali di Simon Cowell. Domandiamoci semmai: cosa vede il pubblico, noi, in queste due storie? Quale è la narrazione e il messaggio che, come tutte le mitologie, ci acquieta e ci fa accettare meglio la realtà di tutti i giorni?
Lungi dall'essere solo pr e creatori di format televisivi, Max Clifford e Simon Cowell sono due moderni mitografi. Essi identificano un bisogno, un'attesa, una pulsione, una ricerca di senso della società o del pubblico televisivo (si possono davvero distinguere i due termini?) e li elaborano in un personaggio in cui vi possa essere identificazione e distacco al tempo stesso. Quel personaggio da reality o da show è di certo simile a me spettatore per certi aspetti, ma anche abbastanza dissimile da non riconoscermi del tutto in esso. In una società classista come quella inglese una ragazza ignorante e sguaiata può di certo rappresentare il 95% della popolazione che non entrerà mai nei salotti buoni e nelle scuole di eccellenza, ma il personaggio è anche abbastanza estremo da lasciare alle persone la possibilità di dire “io non sono messa tanto male come lei”. Il riconoscimento tardivo delle qualità vocali di una ridicola signora obesa, che per il suo aspetto fisico è finita per essere uno scarto della società (disoccupata, e per ciò volontaria in chiesa), può rappresentare una speranza e una giustificazione ad andare avanti per i tanti espulsi dal sistema sociale e produttivo, ma anche una pietra di paragone per rinfrancarsi: “io non sono proprio così, un lavoretto ce l'ho, e anche un marito”. Risultà così più agevole accettare la società, e anche se stessi.
Certo, i personaggi di queste nuove mitologie durano poco, poiché i tempi dei media richiedono un continuo ricambio di narrazioni. Ma non importa. In questo nuovo pantheon postmoderno, dove gli dei non calano più dai cieli per soccorrere le vicende umane ma vengono selezionati tra le persone di tutti i giorni e innalzati al nuovo rango dagli esperti di immagine, quello che conta non è l'eternità ma la possibilità per tutti di poterci entrare un giorno e potervi restare per un po'.
La redenzione dai propri fallimenti non verrà attraverso la fede o il duro lavoro ma attraverso uno show televisivo.
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3 commenti:
Il problema è che per noi "ricchi" occidentali opulenti passare per la redenzione televisiva è ancora più difficile che passare per quella della fede, altro che "cruna dell'ago".
Queste persone hanno avuto qualcosa da dire e mostrare di diverso, anche in negativo (estrema bruttezza o volgarità); il dramma serio di questi tempi è per i mediocri (nel senso originario e non negativo della parola), coloro che non eccellono e non trascendono allo stesso tempo. Per essi la via della redenzione sarà per sempre sbarrata, per sempre, sono "vomitati" da Dio e da satana.
Convengo. L'attenzione rivolta a certi nuovi miti senz'altro non è legata a sentimenti di solidarietà verso le loro storie, piuttosto si tratta di una curiosità morbosa verso certi feticci che servono ad esorcizzare la mediocrità che pervade la propria singola vita. Feticismo o mitologia?
bellissimo Barthes.. ho avuto il piacere di leggerlo all'università per un esame di semiotica. Bellissimo!
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