sabato 30 agosto 2008

Gramsci letto da Berlusconi

Tutti dovrebbero sapere che le parole non sono neutre. Quando descriviamo un fatto in un modo o in un altro non ne diamo solo un giudizio differente ma operiamo una riorganizzazione semantica del mondo. In Italia Berlusconi, al di là degli aspetti folcloristici del suo approccio al potere, ha sviluppato una narrazione della società di cui lui si proponeva come la soluzione e la sintesi.

Per tanti versi, a interpretare in maniera più efficace (per quanto distorta ed immiserita) la lezione di Gramsci sull'egemonia culturale è stato proprio SB negli ultimi venti anni.

Alla perdita dell'egemonia la sinistra ha reagito in tre modi: o facendosi colonizzare dalla proposta di lettura valoriale che della politica come della società faceva SB (vedi il Partito Democratico); o restando ancorata per lo più a schemi iperrealistici più leninisti (del Lenin, per intenderci, di “Materialismo ed empiriocriticismo”) che marxisti (vedi le varie sinistrette radicaleggianti); o incazzandosi senza tentare di capire (ancora parte delle sinistrette e i girotondini).

Un Paese dove la lettura più efficace della trasformazione in senso cognitivo dell'economia è stata data dalle televisioni di intrattenimento godereccio e di informazione ansiogena di Berlusconi, questo è oggi l'Italia, dove una percentuale prossima all'80% dei cittadini fruisce esclusivamente del media televisivo, per cui la televisione diventa al tempo stesso la realtà e la chiave unica per capire la realtà.

Un'egemonia può durare fino a quando offre strumenti cognitivi e interpretativi che funzionano, che persuadono, che mobilitano, che non vengono smentiti dall'esperienza immediata di chi li introietta. I prossimi mesi saranno uno straordinario banco di prova per l'egemonia televisiva berlusconiana: se i suoi esperti riusciranno a proporre chiavi interpretative capaci di spiegare la crisi economica e sociale che vivrà il Paese senza addebitarne le colpe al Governo si getteranno le basi per un consolidamento ulteriore e a lungo termine del consenso.

E a questa strategia cognitiva come risponde l'opposizione? Ma con i girotondi e le petizioni, ça va sans dire!



lunedì 18 agosto 2008

La spiritualita' di Barack Obama


Penso che il pensiero lasciato da Barack Obama al Muro del Pianto durante la sua prima visita in Israele valga per tutti, credenti e non.
“Signore, proteggi me e la mia famiglia. Perdona i miei peccati e aiutami a rimanere al riparo dall’orgoglio e dalla disperazione. Dammi la saggezza per fare ciò che è giusto. E rendimi uno strumento della tua volontà”

mercoledì 13 agosto 2008

Chi se ne frega dei blog?


Davvero non capisco perche' alcuni manager o responsabili della comunicazione si iscrivono ai corsi per professionisti della business school de Il Sole 24 ORE. Arrivano in aula con la spocchia di chi crede di saperla lunga, e mica li convinci che si possono guardare le cose in maniera piu' moderna, noooo, per carita', peccato di lesa maesta', come accadrebbe ai loro collaboratori se proponessero un'idea oltre le solite routine.

Mesi fa spiegavo il potere dei blog e la moltiplicazione dei canali di comunicazione di cui un responsabile della comunicazione e del marketing aziendale tenere conto nell'epoca del web relazionale. C'era in aula la responsabile comunicazione di una societa' quotata a piazza Affari la quale sosteneva press'a poco: “Ma chi se ne frega di quattro sfigati che si fanno un bloggino a uso e consumo dei loro amici. Noi dobbiamo tenere conto dei grandi stakeholders, le banche, gli investitori, I grandi media, i top managers: quello e' il lavoro che giustifica il nostro stipendio”. Mi trattava come un illuso dal cuore d'oro. La maggioranza dell'aula, d'altra parte, era con me.

A questa saccentela dedico l'articolo che oggi Repubblica pubblica sul blog (aviatorAZ) di un assistente di volo Alitalia sulle tragicomiche avventure che vive chiunque lavora a bordo degli aerei della compagnia aerea piu' pazza del mondo (ecco l'idea per un film grottesco). Non penso che sapere tante cose dall'interno di Alitalia aiutera' la compagnia di bandiera. E dopotutto chi si occupa della comunicazione di Alitalia? Mistero inglorioso.

Potrei ricordare anche casi americani, come il celeberrimo caso di Vincent Ferrari, un blogger di New York che carico' sul suo blog il file audio con la sua lotta con il personale di AmericaOnLine per disdire l'abbonamento, provocando prima un disastro di immagine per l'internet provider e subito dopo la fuga o la mancata stipula di migliaia di contratti. Ma anche al contrario il caso di studio di Channel 9, il blog creato da Robert Scoble, un insider Microsoft, che ha di molto migliorato l'immagine della casa di Seattle tra i tech-addicted.

Peccato che la manager della societa' milanese di “broadband solutions” non leggera' questo post, e neanche gli altri blog che ho citato.

Ma ai suoi capi va bene cosi'.

lunedì 4 agosto 2008

Dall'export all'internazionalizzazione

Circa due settimane fa ha avuto molta eco sui quotidiani l'elaborazione che la Fondazione Edison ha fatto dei dati del Trade Performance Index del UNCTAD/WTO relativi al 2006 dalla quale risultano gli ottimi risultati dell’export italiano (per scaricare il file in formato.pdf clicca qui). Concordo con Marco Fortis (direttore della Fondazione Edison) sulla competitività internazionale del sistema produttivo dell’Italia centro-settentrionale.

La mia considerazione riguarda non tanto l’export quanto la reale internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, soprattutto delle piccole e medie imprese. Per tante imprese essere internazionali significa solamente essere presenti su un certo numero, più o meno ampio, di mercati esteri. In concreto: per ogni mercato si ha un accordo con un distributore locale, il quale paga le merci in anticipo e FOB e poi gestisce tutte le altre fasi, dallo sdoganamento alla scelta dei canali di commercializzazione fino alla definizione del prezzo. Possiamo definire questo approccio davvero un’internazionalizzazione? Per nulla. L’azienda che opera in questo modo non conosce niente dei mercati in cui arrivano i suoi prodotti; quando l’export manager va a trovare il distributore la sua conoscenza del paese si limita all’aeroporto, alla strada dall’aeroporto all’albergo e ai luoghi dove si svolgeranno le iniziative promozionali. Punto. Il distributore diventa il vero padrone del prodotto, decidendone posizionamento, pricing, distribuzione e immagine.

Naturalmente tante piccole e medie imprese risponderanno che sarebbe troppo oneroso creare delle sussidiarie in ogni paese dove si opera o inviare degli area manager in zone del mondo dove la domanda è comunque occasionale e limitata. E poi mettiamoci pure che è comodo avere un distributore che paga in anticipo, manda il mezzo di trasporto, carica e se ne va.

Eppure con questo approccio tante piccole e medie imprese non riusciranno mai a internazionalizzarsi davvero, ovvero a capire come la domanda si evolve nei mercati internazionali, quali prodotti sono più adatti a un determinato mercato, come si viene percepiti e quali strategie di marketing e di comunicazione adottare di conseguenza.

Internazionalizzazione significa innanzitutto una trasformazione della cultura aziendale, che vede il mondo come il suo mercato e chiede di avere al suo interno collaboratori con la medesima apertura.

Anche una piccola o media impresa può perseguire questo obiettivo. Basterebbe aprire delle sussidiarie solo nelle macroaree del mondo più forti o promettenti per la propria attività (Russia e Asia centrale, Nord Africa, Sud Est asiatico, Balcani, Peasi del Golfo Persico, Sud o Nord America, Cina e India) e continuare a seguire i mercati meno redditizi col vecchio e caro distributore locale. Così l'impresa piccola o media potrebbe davvero trasformarsi da realtà meramente esportatrice ad attore internazionale.

venerdì 1 agosto 2008

Lapide per il (deprimente) congresso di Rifondazione...

















"Ecco, finché la sinistra non si doterà degli strumenti necessari a comprendere il mondo che ci troviamo a vivere e finché non avrà la forza di spiegare che questo modello di vita andrà sempre più esaurendosi, non nascerà alcun progetto politico credibile"
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Marco Revelli, intervista a Liberazione del 31 luglio 2008.

Mi ritrovo perfettamente. Altri commenti?