domenica 20 giugno 2010

Gli 11 marchi che scompariranno nel 2011 (e una nota su Fiat)


L'Huffington Post si è divertito a presentare la nuova graduatoria redatta da 24/7 Wall St. degli 11 marchi che scompariranno entro il 2011.

Scorrendo la classifica viene in mente che sono due le ragioni che hanno portato queste imprese a uno stato prefallimentare. In alcuni casi (Reader's Digest e Blockbuster) i loro modelli editoriali sono stati messi in crisi da nuovi modelli basati su internet, dove i contenuti si possono selezionare in autonomia o dove siti come Netflix ti consentono di accedere a decine e decine di migliaia di titoli che nessun negozio fisico avrà mai. In un certo senso dunque Reader's Digest e Blockbuster sono vittime della coda lunga nelle opzioni di scelta dei contenuti la digitalizzazione ha reso possibile.

Ma la seconda categoria di società (in cui rientrano nomi celebri dell'industria finanziaria come Moody's e Merrill Lynch, società di retail come Radio Shack e Zale, di noleggio auto come Thrifty, di telecomunicazioni come il ramo americano di T-Mobile e le automobili Kia) è fatta di società che non sono riuscite a rafforzare la loro immagine rispetto ai concorrenti o che hanno avuto un enorme danno in termini di reputazione negli ultimi anni. In questo senso l'elenco ipotizza che presto la BP sarà costretta a cambiare nome, come già fece quando rinunciò allo storico British Petroleum a seguito di altri disastri ambientali. Il cambio del marchio non cambierà nulla degli obblighi legali e monetari cui dovrà far fronte la società ma in alcuni casi si arriva alla costatazione che un marchio è diventato un marchio d'infamia insostenibile.

Cerchiamo dunque una conclusione più generale. Chiunque non riesce a digitalizzare i contenuti che propone e a farli pagare (se si tratta di un'impresa commerciale) è destinato prima o poi a scomparire. Ma è destinato altrettanto a scomparire chi non riesce a crescere in reputazione e a far in modo che immagine e realtà aziendali siano coerenti (il sito della BP prima del disastro del Golfo del Messico sembrava quello di un'organizzazione ambientalista).

Oggi reputazione e contenuti (intesi anche come esperienza e senso che offri al tuo cliente) sono alla base di qualsiasi successo.

Anche la Fiat dovrebbe riflettere sul crollo di immagine che sta subendo a seguito del modello di relazioni industriali imposto a Pomigliano. Perché gli automobilisti italiani dovrebbero continuare a comprare macchine di un'azienda che da tante parti viene criticata o addirittura accusata di comportamenti ricattatori da commentatori e politici (per una breve rassegna cliccare qui, qui, qui, e qui)? E quanto il rilancio Fiat degli ultimi anni è dipeso da buoni modelli ma anche da una strategia di comunicazione che aveva fatto riguadagnare al Lingotto simpatia e goodwill?