Per decenni comunicare per un'azienda ha significato solo due cose: pagare una costosa campagna pubblicitaria o pagare un'agenzia di comunicazione per affidarle le relazioni con i media, la gestione di eventi, ecc. L'azienda non comunicava direttamente con i suoi clienti ma solo attraverso successive e numerose mediazioni: il rapporto con l'agenzia, la capacità dei professionisti dell'agenzia di comprendere i bisogni dell'azienda, la scelta dei media, la scelta dei contenuti, giù giù fino alla capacità soggettiva di attenzione e decodifica dei messaggi dei singoli clienti. Era un po' come il gioco del telefono che si fa da bambini: più il messaggio è lungo e complesso tanto più arriva distorto all'altro capo del telefono. E di conseguenza il messaggio doveva essere immediato, semplicistico, basato su pochi concetti e sui poche pulsioni di base di un pubblico considerato solo nei suoi desideri più ancestrali. Inoltre nulla garantiva (meglio, garantisce) l'azienda che il budget che essa affida alle agenzie di comunicazione e pubblicità non venga da queste ultime usato anche per garantire visibilità pubblicitaria o attenzione da parte dei media ad altri loro clienti meno celebri e danarosi.
La domanda che si dovrebbe porre ogni comunicatore o professionista del marketing è: come posso parlare direttamente ai miei clienti potenziali, facendo passare i miei contenuti, proponendo loro le mie offerte commerciali, coinvolgendoli nel mondo valoriale dell'impresa per cui lavoro?
Se invece di pensare ai mezzi (la campagna pubblicitaria, l'articolo sul giornale), i miei colleghi si fermassero a pensare di più a fini del nostro lavoro forse anche lo statuto della nostra professione inizierebbe a uscire dai contorni indefiniti ed equivoci che ancora lo segnano.
venerdì 2 novembre 2007
Comunicare o fare comunicazione?
Etichette:
comunicazione,
marketing
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