Forse si coglie meno il fatto che tutti i soggetti inseriti in un contesto socio-economico dove predominano scambi di beni immateriali finiscono per diventare, in maniera cosciente o meno, meccanismi produttivi o almeno veicolatori di senso e di informazione, ovvero delle materie prime dell'economia della conoscenza. Come professionisti titolati o anche solo per pochi minuti al giorno, chiunque finisce per essere parte del ciclo continuo e sincrono di produzione-veicolazione-consumo di senso. In questo senso ognuno di noi è come se fosse una grande, unica sinapsi di un sistema che funziona da sempre in maniera naturale (la società e i suoi valori), da cui recentemente si estrapola valore monetario (economia della conoscenza) attraverso innanzitutto il sistema dei media, sia di massa che sociali, e del quale sempre più distintamentemente emergono raffinati modelli di sfruttamento (biocapitalismo).
Non si tratta dunque di rivangare la contrapposizione marxiana tra mondo della produzione e mondo della riproduzione e neanche di evidenziare le derive autoritarie insite nei media di massa su cui riflettevano i francofortesi. Oggi il vissuto e l'identità vengono messi a valore, e i media sono un sistema di produzione e induzione di senso che consente in molti casi (ma non sempre e non in automatico) di indirizzare il cervello sociale verso la produzione di valori e senso successivamente monetizzabili.
Le aziende vincenti oggi sono quelle che riescono a sfruttare il cervello sociale, ovvero quelle capaci di ottenere valore monetizzabile facendo lavorare per loro (quasi sempre in maniera inconscia) le sinapsi sociali che noi rappresentiamo. La forza dirompente del biocapitalismo non sta (solo) nel brevettare la materia vivente, ma propriamente nello sfruttare relazioni e vissuti che l'interazione tra le persone ha sempre prodotto spontaneamente.
Come gli scienziati da decenni possono produrre insulina di sintesi inducendo la produzione dell'ormone da parte del batterio Escherichia Coli attraverso la tecnica dei DNA ricombinante, così il biocapitalismo utilizza i media per indurre una certa produzione di senso nel cervello sociale.
Vedersi come sinapsi forse non gratifica molto, ma ci permette sempre di ricordarci che di fronte alla pluralità di sollecitazioni che riceviamo noi restiamo liberi di accenderci o spegnerci, al di là della forza dello stimolo ricevuto.
3 commenti:
dall'agenda setting alla "domanda indotta"...il condizionamento cognitivo e la comunicazione virale sono indubbiamente armi efficai in mano ai media ed ai poteri forti, ma qualche caso interessante di "virus spontanei" pure c'è...in particolare grazie al web, ma lo si può definire un mass media?
Alessandro
i like this post.
;)
«Oggi il vissuto e l'identità vengono messi a valore, e i media sono un sistema di produzione e induzione di senso»
Questo concetto ricorda sia gli studi di Agamben – quando parla di sfruttamento della «nuda vita» – che quelli di Foucault, quando "scopriva" i dispositivi della biopolitica.
In Sorvegliare e punire si trova il paradigma disciplinare/governamentale del Panopticon. Trovo che oggi la visione "da uno a tutti", tipica del progetto di Bentham, sia stata superata – anche e soprattutto con il web 2.0 – in un anti-Panopticon (o un ultra-Panopticon) che porta la visione – e quindi la raccolta e la riproduzione di saperi – da ciascuno a molti, potenzialmente da tutti a tutti.
Per stare nel contesto del post, l'illusione di poter creare se stessi agendo nei media è il carburante che permette l'inoculazione di un senso che venga reiterato e diventi condiviso.
Le potenzialità di far capitale sfruttando questa infinità di ingranaggi (perdipiù felici di funzionare) sembrano oggi sempre più comprese e sfruttate.
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