Due domeniche fa sul Sole 24 ORE Aldo Bonomi rifletteva sulle contraddizioni in cui si ritrovano i professionisti della conoscenza.
Al di là dei risultati di un'indagine sociale presentati, il passaggio più significativo era il seguente: “Emerge una coscienza triste del proprio individualismo. Dell'essere stretti in un limbo in cui non si riesce a fare il salto verso la condizione di capitalisti personali e si teme di rimanere intrappolati nella condizione di cognitari più precari che professionisti” Bonomi si augura che possa emergere la figura che, orrendamente, chiama del “Commartigiano”, ovvero un professionista capace di vendere quanto produce. Chiusura forzata e riduttiva di un tema e di un articolo che meritava altro epilogo.
In realtà questo arcipelago di professionalità cerca innanzitutto una sua identità sociale. Le parole e la società sono in enorme ritardo. Se parliamo di operai abbiamo ben chiaro il concetto generale e solo in un secondo momento pensiamo alla distinzione tra generici e specializzati e poi a operai tessili, metallurgici, chimici, minerari, e così via. In questi anni invece abbiamo avuto un rincorrersi evanescente di definizioni quali terziario avanzato, professionisti della conoscenza o dell'immateriale, lavoratori autonomi di seconda generazione, cognitari, capitalisti personali, e nessuno di essi è riuscito ad affermarsi come capace di dar conto della variegatezza cangiante degli ambiti di applicazione di queste forme di conoscenza. Riuscire finalmente a fare marketing di se stessi o a elaborare un nuovo modello di welfare o a trovare finalmente una qualche rappresentanza sindacale sarebbero le naturali conseguenze di una identità e di una legittimità sociale cui oggi si aspira senza cercarle.
Ma chi dovrebbe elaborare l'identità? Gli studiosi accademici hanno spesso fatto un lavoro importante di individuazione e valorizzazione di queste soggettività, ma spesso non vanno oltre il momento della ricerca, distanti per mentalità, luoghi e condizione di lavoro da questi professionisti. Il sindacato si ritrova a gestire questa complessità incasellando nello storico sindacato dei postali, l'SNC (Sindacato Lavoratori Comunicazione), tanto i dipendenti e i collaboratori dei teatri lirici e di prosa quanto i dipendenti delle televisioni, i webmaster e gli sviluppatori informatici. In più inserisce altre categorie nel NIDIL (Nuove Identità del Lavoro), dove la responsabile ufficio stampa licenziata dovrebbe trovare ascolto assieme al personale di un'impresa di pulizie messo in mobilità. I lavoratori stessi provano a costruire zattere e ponti tra i vari arcipelaghi, affidati alla buona volontà e alla passione di singoli che creano blog, gruppi di discussione, network informali di lavoratori con le stesse qualificazioni. Tutto questo non può bastare per costruire una coscienza diffusa in tutta la società del ruolo e delle competenze di decine di migliaia di professionisti. Vi è però un grande assente, la politica.
Senza una tematizzazione politica dell'importanza dei lavoratori della conoscenza non vi potrà essere né identità condivisa né legittimazione diffusa.
Se ne dovrebbero accorgere i politici, ma prima di tutto i lavoratori stessi, i quali, vittime di una smania individualistica, dimenticano di chiedersi chi sono, come sono visti dal resto della società, e come dovrebbero essere rappresentanti.
5 commenti:
Sono d'accordo con te: non siamo, noi per primi, in grado di descrivere con un termine unico e comprensibile anche ai non "addetti ai lavori" ciò che facciamo. Se dico "faccio l'insegnante", sanno tutti cosa intendo. Se dico "curo la comunicazione dell'azienda X", l'uomo della strada risponde con un'espressione interrogativa: "fai gli spot pubblicitari?" (se va bene...). Ma neanche i datori di lavoro sanno bene come collocarci... Prendi il mio caso: dopo l'esperienza in agenzia, arrivo al colloquio con l'azienda, che cerca qualcuno che ne curi la comunicazione, partendo dai rapporti con l'ufficio stampa etc, etc, etc. Passo la prima selezione, nella quale sembrava chiaro che il mio interlocutore avesse capito cosa facessi e cosa volessi andare a fare. Passo la seconda, nella quale viene fuori che, certo, mi occuperò di comunicazione, ma "occasionalmente", dovrò dare supporto al Marketing. Occasionalmente, mi può anche stare bene... Così, firmo e inizio a lavorare. "Occasionalmente" un corno! Fin da subito, ma soprattutto da quando, un anno fa, sono rimasta sola causa dimissioni della collega del Marketing, faccio praticamente solo marketing, relegando la mia "vera" professione al 20% (se va bene) del timesheet... Niente di male, perché il Marketing m'interesserebbe anche - e parecchio! - come ambito. Ma il Marketing di una staffing company è tutto e niente. A volte, mi sento una correttrice di bozze, altre l'addetta di un call center, altre ancora una magazziniera o poco più... Risultato? Demotivazione massima, dopo due anni...
Certo, l'attuale crisi (con tanto di pesante ristrutturazione aziendale in atto) non aiuta a ritrovare la voglia di andare in ufficio al mattino. Ma all'ultimo IAB Forum (al quale sono riuscita a partecipare per pura fortuna, visto che, di solito, il mio capo snobba questo tipo di eventi, ritenendoli non strategici per il business... ha capito tutto della vita, quest'uomo!), ho realizzato cosa mi mancava e mi manca: le nuove frontiere della comunicazione, il web 2.0, i social network, la creazione condivisa di idee e contenuti... quello è il mondo che voglio! Quello è il lavoro che voglio, non procedure infinite, presentazioni al limite della noia (nonché pesanti come macigni, sia per contenuti che per layout imposti dai "lungimiranti" cervelloni della Corporate...) e altre quotidiane, estenuanti battaglie, dalle quali ho la stessa probabilità di uscire vincitrice del povero Don Chisciotte quando inseguiva i mulini a vento. Si può ancora reinventarsi, a 33 anni suonati e con una crisi devastante in atto? Non lo so, ma ci voglio provare lo stesso...
Continua così!
Elisa
lo trovo commuovente, sarà il periodo, sarà la tua carica, sempre azzeccata, in ogni singola parola
troppo lungo Bia...mi sono perso! Dai, a parte gli scherzi, molto interessante! il COMMARTIGIANO non è male...magari fra un pò nasceranno anche: il PIZZAVENDOLO, il GELATARMAN e l'INGEGNAME...il tutto ovviamente con la logica del cross selling!!
L'articolo come sempre è di qualità sopraffina e pone l'accento su una problematica tanto ostica quanto poco trattata. In proposito ritengo che più di una legittimazione da parte delle sfere politiche ( pseudo rappresentanza popolare ) e/o dei sindacati ( pseudo rappresentanti dei lavoratori ) sarebbe necessario definire, da parte degli stessi interessati, un nuovo status lavorativo che comprenda chi, come i "professionisti della conoscenza", non si limita ad agire ed interagire con riferito ad un unico contesto ma opera trasversalmente nei differenti ambienti al fine di creare sinergie settoriali in grado di generare plusvalenze valoriali.
Sono di fatto costoro che, a mio parere, sono in grado di provocare un rinnovamento socio-economico della realtà che oggi viviamo superando quella "noiosa staticità" che spesso rende qualsiasi sforzo cognitivo ed intellettuale causa di insoddisfazione ed incomprensione da parte dell'utente finale.
Io credo di aver trovato un equilibrio in questa questione sviluppandomi molto sotto l'aspetto commerciale. Vengo da studi di comunicazione e marketing e i miei primi impieghi sono stati sempre in questo settore. Molti miei colleghi credono di saperla lunga e si siedono dietro la scrivania ad aspettare che imprenditori e istituzioni vadano da loro a chiedere profezie come si faceva con gli oracoli un tempo, gli odierni Guru.
Bisogna scendere in strada con la valigetta e parlare con le persone, convincerli che il nostro servizio è utile, fondamentale, oltre che affascinante. In caso contrario credo che non ci sarà alcuna speranza per i "professionabili" della comunicazione.
Ovviamente gli operatori della conoscenza non sono solo i comunicatori, ma io porto la mia storia reale, sperando di offrire uno spunto ed un indegno consiglio.
Giovanni
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