lunedì 26 maggio 2008

Finzioni televisive


Tra i tanti argomenti che possono essere usati per evidenziare lo stato disastroso della creatività televisiva in Italia ne propongo uno che finora non ho sentito o letto.
Potremmo dire allora che mentre le fiction italiane danno una rappresentazione didascalica della realtà, quelle prodotte negli USA tendono a proporre metafore forti della medesima. Mentre una storia italiana ha un unico livello di interpretazione, quello del mero plot, dello svolgimento dei fatti, le storie televisive americane si offrono a molteplici interpretazioni, come ogni opera d'arte aperta al contributo interpretativo creativo del suo fruitore, come ha teorizzato il nostro Umberto Eco quasi 40 anni fa in Opera Aperta.
Prendiamo ad esempio delle fiction seriali di successo come "I Cesaroni" o "Don Matteo” o anche il celebratissimo e più cinematografico "Commissario Montalbano". A volte vi sono bravi attori altre volte meno, a volte la regia è curata altre volte è più approssimativa ma comunque la storia è nulla più che un racconto, a volte avvincente. Da parte loro i serial americani affiancano al plot una proposta metaforica della realtà. “Sex and the city” non racconta solo degli incontri erotici delle quattro protagoniste ma soprattutto la solitudine delle stesse. “Lost” non racconta solo di un gruppo di superstiti ma di un sentimento di smarrimento collettivo. “Prison break” non racconta solo le storie di un gruppo di detenuti ma della ricerca di vie di fuga di esistenze che si sentono senza scampo.
Potremmo continuare a lungo, e ogni lettore di questo post potrebbe aggiungere le sue proposte. Potremmo anche chiederci il perché di queste differenze. Certo, la televisione in Italia è considerata ancora come uno svago e non come una forma d'arte ma il sospetto è anche un altro: che in Italia la fiction televisiva venga utilizzata meno per comprendere e raccontare l'esistenza che per edulcorarla o addirittura mistificarla.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Biagio! Onestamente, non amo la fiction come genere, quale che ne sia la provenienza. Però, se debbo scegliere tra "Montalbano" e "Sex & the City", scelgo il primo tutta la vita! Mi riesce più facile riconoscermi nel commissario che risponde infastidito quando gli telefonano mentre si sta gustando la sua bella pasta con le sarde piuttosto che in quattro donne frustrate, il cui problema maggiore è: "Manolo Blanik o Jimmy Choo?". Sarà che sono siciliana anch'io come "Salvuzzo"... ;-)

Biagio Carrano ha detto...

Ciao Elisa,
non tocca a me difendere "Sex and the City" ma il mio non è un giudizio sul grado di realismo delle fiction USA ma sulla loro capacità di raccontare la condizione umana. Perché quattro donne, i cui dubbi riguardano appunto la scelta tra Manolo Blahnik o Jimmy Choo e non tra le rate del mutuo o dell'auto, soffrono una condizione di desolante solitudine? Eppure hanno (avrebbero) tutto. Dipende forse dalle scelte che le hanno portate ad avere tutto o da un modello sociale che ti arricchisce di beni materiali e ti svuota l'identità?
Questi dubbi radicali non li ho mai intravisti nelle fiction italiane. Sarà un caso che gli USA hanno anche prodotto la devastante critica sociale dei Simpsons?
Ripeto: mi sa che chi manovra la televisione in Italia sia ancora preoccupato di non mnadare a dormire gli italiani televisivi con troppe domande in testa.

Geronimo Emili ha detto...

La fiction italiana fa schifo, quella amiricana è straordinaria. Punto.
Montalbano è un ottima trasposizione televisiva di racconti di un ottimo scrittore, quindi non può servire come paragone tra fiction americana e italiana.
L'italia produce delle verie e proprie schifezze (tranne rari casi come i cesaroni), scritte male, girate male e interpretate male e dimostrano che si fa lavorare sempre i soliti mediocri registi, tecnici e attori.
Sex and the city, Dr House, Lost, Madman sono straordinari: girati benissimo, scritti benissimo e avvincenti.
Niente sociologia, pensieri laterali, plot o divagazioni arzigogolate