Nel frastuono degli impegni quotidiani, delle ansie presenti e future, un dramma globale o nazionale diventa solo una notizia di un telegiornale con cui accompagnare un pasto o una chiacchiera con gli amici. La reazione alle notizie oscilla tra il "non mi importa" e il "grave ma non ho tempo", oppure, al massimo, l'indignazione resta frenata dalla considerazione della nostra inanità.
Al riguardo il maestro Gabriele Mandel Khan,vicario generale della Confraternita sufi Jerrani-Halveti, scrive parole illuminanti, su cui vale la pena riflettere:
"Contro la forza la ragion non vale. Che cosa possiamo fare mai? Le prevaricazioni dettate dalla sete di potere, dall’egoismo economico, dall’interesse personale sono molte e molte, e le dimostrazioni lampanti che la Natura si ribella a questo stato di cose sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Ciò dipende in parte anche dall’egoismo personale che si annida in ciascuno di noi, e dalla neghittosità che ci fa dire: «Tanto tocca agli altri e non a me.»
E’ pur vero: una marcia e una fiaccolata ci sistemano la nostra coscienza, ma non toccano gli interessi dei potenti malvagi; le molte e molte lettere rimangono carta straccia e vengono cestinate con una risata; l’opinione pubblica suscita in loro, nel maggior numero di casi, una semplice scrollatina di spalle.
Che fare? Non demordere, non spegnere la fiamma della speranza che brilla in ciascuno di noi. Anzitutto i potenti sono tali perché si appoggiano sull’egoismo e l’indifferenza dei molti, ma soprattutto sulla loro ignoranza. Smetterla allora anzitutto di pensare che l’altro non è noi e quindi che ogni prevaricazione malvagia sull’altro non ci tocca; nutrire un amore per i valori umani e rispettarli ad ogni costo in prima persona, anche se ci costa fatica; e vincere la nostra e l’altrui ignoranza imparando e insegnando, insegnando e insegnando. “Tutto conoscere per tutto amare”. Lettere, comunicazioni, conferenze opuscoli; leggere, imparare, tenerci per mano nella via della Conoscenza. E continuare, continuare, continuare a far sentire la nostra voce, tenendo presente questa semplice novelletta sufi:
Un grande incendio iniziò a divorare la foresta. Il possente capobranco degli elefanti corse al lago, empì la proboscide di acqua e andò a buttarla sulle fiamme. Così continuò, corsa dopo corsa, sotto gli occhi ammirati del suo branco che acclamava all’impresa. Un passerotto pensò di collaborare anche lui, con le sue poche risorse: corse al lago, prese una goccia d’acqua nel becco e sorvolando la foresta la lasciò cadere. Ripeté il volo più volte, ma il branco degli elefanti si mise a ridere e a schernirlo gridando: «Che credi mai di fare? Guarda quanta acqua porta il nostro capobranco. Che è mai la goccia che porti nel tuo becco?» Al che il passerotto rispose: «Ognuno secondo la sua possibilità. Posso portare una sola goccia, ed è bene che porti anche una sola minuscola goccia anziché restarmene a guardare senza far nulla.» Lo sentirono anche tutti gli altri uccellini dell’aria, e rincuorati da quella affermazione esclamarono: «Ma allora anche noi possiamo fare qualcosa, anche noi siamo utili.» Volarono tutti al lago, presero ciascuno una goccia nel beccuccio e lasciarono cadere sopra la foresta in fiamme una gran pioggia di gocce minute, e così volo dopo volo la foresta in fiamme fu di continua bombardata da una pioggia di gocce minute e l’incendio fu spento.
E chi ha orecchie per intendere intenda.
Gabriele Mandel khân, vicario per l’Italia della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti
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