mercoledì 5 dicembre 2007

Immagine o reputazione?

Arriviamo subito al dunque: il passaggio da una buona immagine a una buona reputazione si gioca nel rapporto con il cliente.
Pochi giorni fa ero in una riunione di lavoro in cui un presunto consulente di comunicazione (oramai anche i pr da discoteca si autodefiniscono cosi') proponeva di fregarsene dei clienti, di rafforzare l'immagine dell'azienda realizzando dei biglietti da visita con il logo in foglia d'oro (sic!!), di realizzare qualche evento "memorabile". "Noi dobbiamo dare l'idea di forza e basta, perche' dovremmo impelagarci a dialogare con i clienti? e poi se quelli si lamentano di qualcosa chi li dovrebbe gestire?", argomentava il grande comunicatore. Ora, premesso che se uno interpreta la comunicazione come un monologo dovrebbe andare a rileggersi la definizione del termine sul vocabolario, si tratta di capire quale valore aggiunto un comunicatore dovrebbe sapere offrire.
Se la comunicazione deve legarsi alla strategia aziendale ed essere sviluppata in funzione di obiettivi quantificabili, oppure essere una forma di autogratificazione, una forma di rassicurazione riflessiva dell'impresa, succedanea per importanza e budget a tante altre funzioni.
Bisognerebbe finalmente oltrepassare il mondo dell'advertising, delle media relations, della brand awareness per indirizzarsi verso i concetti di corporate reputation e di integrazione tra marketing comunicazione e pr. E infine considerare i clienti una risorsa reputazionale e cognitiva, oltre che economica.
Ritengo che un buon customer care valga piu' di una campagna pubblicitaria milionaria fine a se stessa. E che un personale capace di spiegare bene ed efficacemente un offerta commerciale valga piu' di un'intervistona autocelebrativa all'amministratore delegato.
In quest'ottica la comunicazione,lungi da restare confinata in un dipartimento, attraversa tutte le funzioni aziendali e rende omogenei messaggi e strategie interne ed esterne dell'impresa.
L'alternativa e' rimanere ancorati al concetto di immagine, che sempre piu' assomiglia a un paravento di carta di riso incapace di ripararci dai vortici di un contesto in continua trasformazione.

1 commento:

Bèrto 'd Sèra ha detto...

Piccolo problema... quello che dici tu richiede che si "lavori". La maggior parte dei dirigenti (sorry, if we are to speak english we can do it, but if we speak italian we speak italian) ha un problema di fondo: non vuole/puo' fare nulla che cambi qualcosa in azienda.

Perche' e'... rischioso. Poi la gente parla, giudica... il sistema italiano e' resistente per definizione. Non si oppone al cambiamento, a livello di vocabolario lo adotta e ne fa persino una religione. Basta che non si tratti di lavorare davvero, perche' in quel caso...

Molto piu' semplice riverniciare la reclam in PR e proporre l'eterno bigliettino da visita che fa fine, finito e non impegna. Certo, bigliettino e' un termine... come dire... da web 1.0. Lo chiamiamo "corporate card", gli aggiungiamo un in indirizzo internet e VAI! avimmo fatto 'a rivoluzione! :)))

Ma istruire il personale... parlare coi clienti... miii.... che siamo pazzi?? e se li ascolti quelli poi finisce che parlano.... e dicono che il dirigente in questione e' quello che e': un disastro.

Ora, il dirigente riverniciato in mannagger per fare figo sembra scemo, ma questo lo sa benissimo. E lo sa pure il tuo grande comunicatore. Paiono due cretini, in realta' sono la solita coppia di gatto e volpe.... Uno fa finta di imbrogliare il mannagger, l'altro fa finta di essere ingenuo... e sotto il tavolo entrambi mantengono il sistema dov'e': immobile.