mercoledì 24 aprile 2013

Il digital è la nuova supercazzola?




Vi è stato un tempo quando i professionisti delle relazioni pubbliche erano guardati da molti in Italia un po’ come tanti conti Raffaello Mascetti, signori sostenuti ma di base cialtroni, pronti sempre a sparare le loro supercazzole in ambito aziendale, come anche in quello privato. Se nell’opinione comune alla professione di giornalista era destinato il figlio meno dotato delle famiglie borghesi, la professione del comunicatore era addirittura di rango inferiore, leggerina, destinata a chi non poteva dare altra mano in azienda che evitando di fare danni.
Altro era il prestigio e l’orgoglio dei venditori che producevano i fatturati che facevano campare tutti, per non parlare degli ingegneri, che suscitavano timore reverenziale solo a leggere il titolo “Ing.”!
Tali realtà aziendali, dove assumere un “ragiunier” neglianni Sessanta pareva mettersi una serpe in seno, sono magari diventate oggi tra i più grandi investitori nel campo della comunicazione e del marketing. Negli ultimi quarant’anni, grazie a FERPI e ad altre associazioni di settore, vi è stato non solo un necessario e inevitabile processo di accreditamento ma anche una enorme crescita di competenze, di responsabilità e di prestigio che si sono stratificate sulla professione del comunicatore.
Sembrava fatta, mai più guardati come dei conte Mascetti, anche se tanti colleghi proseguivano imperterriti nel lanciare comunicati stampa dove si parlava di prodotti “all’avanguardia nel mercato”, di “soluzioni innovative”, di “visione strategica”, di “modello di eccellenza” e altre supercazzole con vari scappellamenti laterali, spammando senza pietà le caselle di posta più ritrose.
E invece, proprio quando sembrava fatta, arriva il fantasmagorico “digital”. Ora tutto è digital e tutto diventa bello, nuovo e utile se è anche digital. Hai un corso di specializzazione che cala costantemente per iscritti? Mettici dentro il titolo la parola digital e le cose miglioreranno in automatico. Hai un collaboratore pseudocreativo smanettone e non sai se è un genio o un coglione? Definiscilo “digital strategist”: non cambierà la testa ma la dicitura farà di certo colpo. Non sai dove andare a vendere con una crisi che ti erode il mercato e le hai provate tutte in termini di marketing? Punta a proporre ai vertici una campagna digital, peggio che vada potresti salvare il tuo posto di lavoro.
Lungi dal pensare che la comunicazione e il marketing attraverso il web siano solo una moda passeggera, ma come districarsi in una selva digitale e cangiante di competenze più o meno tali, di corsi e percorsi proposti dai vari “esperti” (nel web tutti sono esperti di qualcosa), di metriche che provano a quantificare parametri estremamente diversificati, come se fosse antani, per giunta?
Emergono dal nulla tantissimi conti Mascetti, con in più la boria di chi spara termini e acronimi astrusi, nuovissime supercazzole della nostra epoca: KPI, CMS, RSS, SEM SEO e SERP (son parenti questi tre, tranquilli), SMM ROI e così via, per l’interdetto e la frustrazione del cliente che vorrebbe solo capire se questi strumenti possono essere davvero utili per i suoi obiettivi aziendali e come si possono integrare con le azioni di comunicazione che già porta avanti.
Come si fa a definire ambiti, competenze, richieste e servizi in un contesto dove mancano troppo spesso dei parametri oggettivi, dove la qualificazione professionale è lasciata all’autopromozione, dove chi spiega come scrivere i tweet in corsi per principianti si sente uno stratega del web marketing di chiara fama grazie ai suoi 1000 amici su facebook, dove trovi il blogger che in 20 righe di un post o con una infografica vuole  spiegarti un mercato o libri interi?
Recentemente, promuovendo la masterclass sul marketing digitale che David Meerman Scott terrà a Milano, per la prima volta nel nostropaese, il 9 maggio prossimo, mi è capitato di discutere con una “digital strategist” che ha definito David un “visionario”. Come? – faccio io – lui che è semmai accusato di piegare le rp al marketing e alle vendite in un approccio estremamente pragmatico? Poi ho capito che la tipa conosceva Scott per sentito dire e confondeva il termine inglese visionary con l’italiano visionario. Però lei è supercazzolanamente digital strategist, e decide la formazione digital della sua azienda.
Al di là del caso personale, ad oggi nel nostro paese non esistono associazioni professionali o istituti che possono certificare le competenze più o meno millantate dai conti Mascetti digitali. E non credo neanche che questa sia una strada percorribile, in quanto troppo ottocentesca, troppo legata a meccanismi di accertamento e accreditamento che possono funzionare solo in ambiti di sapere stabili e istituzionalizzati, come le lingue o le scienze umane. Nel caso della comunicazione, del marketing, delle pr e di tutti i settori investiti intensamente dalla trasformazione digitale l’unica opzione resta quella di accrescere la cultura di base condivisa tra operatori e fruitori dei servizi, al fine di avere strumenti comuni per la valutazione delle supercazzole. Con scappellamento a destra, per due, si intende.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Il tuo articolo è perfetto in ogni singola lettera!
Non mi occupo per lavoro di digital e social (altra parola in super voga!), ma in due anni di gavetta ho cercato di costruire la mia personale strategia online per essere presente come libero professionista sul web. È stata veramente dura, soprattutto inizialmente quando si veniva tacciati d'essere al PC a fare nulla.

Ora parte del lavoro viene proprio da lì. Indice comunque che se fatto con passione e seguendo delle giuste linee (meglio ancora se facendosi seguire da qualcuno che lo fa di mestiere!!!) non è per niente una attività sa sottovalutare.

Francesco ha detto...

Davvero un ottimo post, complimenti. Spero tanto che la selezione naturale che nelle RP ha portato all'estinzione dei tanti Mascetti (o quantomeno al loro inserimento tra gli esemplari in via d'estinzione), faccia il suo corso anche nel mondo del marketing digitali.

Biagio Carrano ha detto...

Grazie Francesco e Ornella, giusto sperare ma ancora meglio far qualcosa: ecco perché mi sono imbarcato nell'organizzazione della masterclass di David Meerman Scott dle 9 maggio a Milano. Nel nostro piccolo o grande "bonificare" il settore è un impegno che porterà frutti per tutti i professionisti validi e aggiornati.

Anonimo ha detto...

caro signor Carrano,
ho letto con interesse il suo articolo e devo dire che sono combattuto:

non so se è più interessante il markettone finale per promuovere David Meerman Scott oppure la quantità di boiate proposte nelle righe precedenti.

Se lei avesse una vaghissima idea del significato degli astrusi acronimi riportati, saprebbe che si tratte di tutto tranne che di "fuffa" e "supercazzole".

Sul web, tutto è tracciabile! E' possibile fornire informazioni e reportistiche dettagliate su tutte le attività di marketing online che un professionista può porre in essere. Ciò che funziona porta risultati tangibili e misurabili. Ciò che non funziona crea disagi o buchi nell'acqua altrettanto palesi.

Il suo articolo è dunque solamente sintomatico di una totale incompetenza relativa all'argomento trattato. In futuro le consiglio di scrivere solamente di coò che conosce, onde evitare misere figure con lettori evidentemente più ferrati di lei

saluti

Mario

Biagio Carrano ha detto...

Gentile anonimo Mario,
grazie per avermi ricordato che sul web tutto è tracciabile: me ne ero dimenticato quando scrivevo il post, pensi un po'!
A me sarebbe piaciuto che lei, tanto più ferrato di me, intervenisse per proporre idee e soluzioni operative da cui troppo spesso i professionisti del web rifuggono nonostante le metriche oggettive. Invece ha preferito togliersi lo sfizio di insultarmi. Bene, bravo, bis.

Anonimo ha detto...

guardi Biagio,
sarcasmo a parte, se lei era consapevole della misurabilità e della tracciabilità delle attività di marketing online, allora non è questione di scarsa preparazione, ma di malafede.

Scelga lei l'opzione che sente più calzante.

Biagio Carrano ha detto...

L'anonimo Mario incorre in cui errore tipico di chi ha un approccio superficiale al web: credere che la misurabilità di un fenomeno, di un processo o di un'azione corrisponda automaticamente alla sua esplicabilità.
Saper leggere un termometro non significa automaticamente sapere bene come esso funziona e cosa indica il valore che esso restituisce. Insomma, misurare un fenomeno non significa saperlo interpretare.
Il senso del post non era quello di mettere in discussione le metriche web ma quello di domandarsi se le persone che le utilizzano hanno la necessaria cultura e deontologia per mettere a frutto nella maniera più efficace le enormi potenzialità disponibili.
Potrei rispondere con altro sarcasmo ma penso che ai lettori di questo blog basti questo chiarimento.