lunedì 2 aprile 2012

La comunicazione crea valore? /1



Si crea valore attraverso l’induzione di senso.
Non starò a ragionare se si tratta di valore reale o di valore percepito. Oggi questa è una discussione senza possibili sbocchi poiché in campo aziendale il valore è il prezzo monetario o il costo opportunità che un soggetto è disposto a sopportare a fronte della fruizione di un bene o di un servizio.
Dunque è il senso, ovvero la costruzione cognitiva, le attese esperienziali, la fruizione simbolica che è all’origine di ogni valore che viene poi messo a disposizione sui mercati evoluti. Il senso, etimologicamente, dà una indicazione di marcia, può orientare chi ne fruisce verso certe scelte che sono ritenute capaci di incrementare il proprio benessere o arricchire la propria esistenza: si sa che gli individui meno consapevoli di una società secolarizzata trovano nei consumi un senso (intesi come obiettivi e gratificazioni verso cui indirizzarsi) all’esistenza. La ricerca di senso è passata però dall’ambizione a un mero possesso materiale al desiderio di fruire di contenuti o di esperienze immateriali.
La costruzione di senso è la capacità di rispondere a una richiesta del fruitore che va al di là di una scelta dettata da bisogni fisici immediati. Nel mercato-mondo ad alto potenziale (che non è solo quello cosiddetto “occidentale” ma è composto da tutti gli acquirenti affluenti) i soggetti cercano costantemente attraverso transazioni economiche, informative o relazionali un senso che renda la propria esistenza più “piena”, più “completa”, insomma meno ordinaria. Che si proponga una degustazione di cioccolato di alta gamma o la riscoperta di frutta biologica, che si offra la possibilità di acquisire od organizzare informazioni utili o divertenti attraverso uno smartphone, che si venda la possibilità di relazioni affettive o sessuali attraverso appositi siti web, al centro vi è la necessità di centinaia di milioni di individui nel mondo di processare le informazioni in maniera competente e di acquisire senso attraverso il consumo di un insieme cognitivo che può attivare anche funzioni sensoriali
Per questo il concetto di senso che provo ad esporre non deve essere inteso solo come un elemento cognitivo ma anche come uno degli elementi percettivi basilari di ogni esistenza: come dimostrano le più recenti ricerche di neuromarketing l’attivazione di determinati sensi (l’olfatto, per esempio) attiva la produzione di serotonina e di altri neurotrasmettitori che incrementano le sensazioni di benessere e di entusiasmo. Gli oggetti o i servizi a più alto valore aggiunto comprendono un forte coinvolgimento sensoriale.  Vedere un gran premio di formula 1 sulla tv di Stato o su una pay tv sono esperienze radicalmente diverse anche da un punto di vista sensoriale ed è per questo che viene loro attribuito un valore nettamente diverso.
Alla classica diade marxiana tra valore d’uso e valore di scambio si può aggiungere il valore di senso, elemento pregiato proprio di un’economia che si basa sugli scambi di informazione (contenuti) e di relazione tra individui che sono essi stessi produttori e non solo passivi fruitori di questi scambi.
Quale è il ruolo del comunicatore in questo processo? Il comunicatore è capace di indurre senso o solamente deve relegarsi a trasferire contenuti decisi spesso da altri?
(continua)

1 commento:

Luca Poma ha detto...

Diciamo che il comunicatore dovrebbe essere in grado di negoziare senso con l'imprenditore e trasferirlo poi agli stakeholder, penso sia questa l'essenza di una professione che deve vederci protagonisti nel saperci trasformare da meri "passatori di informazioni" a costruttori di consenso basato sulle esperienze. Dobbiamo scambiare il più alto valore aggiunto percepito dall'utente finale con della buona reputazione, e poi spendere quest'ultima comprando migliori orientamenti d'acquisto ;)
Luca