martedì 15 marzo 2011

Il lavoratore a strati


Il lavoratore a strati è un lavoratore che al di sopra del nucleo di competenze professionali specifiche deve costruire tutta una serie di strati di competenze aggiuntive per potersi proporre sul mercato, per poter dialogare con i suoi partner e gli altri professionisti da cui compra vari servizi o prodotti, per poter risparmiare denaro in un contesto dove cala costantemente il valore riconosciuto al suo lavoro.

Nella nostra epoca il superesperto che può permettersi di specializzarsi in maniera sempre più verticale su pochi ambiti professionali diventa sempre più un raro privilegiato. L’impoverimento della domanda e spesso anche il calo della redditività dei singoli incarichi spingono professionisti e società di consulenza a diventare in qualche modo tuttologi o almeno capaci di acquisire competenze spendibili sul mercato o almeno utili a contenere i costi operativi.

Le mansioni che nella vecchia impresa fordista venivano suddivise tra decine o centinaia di persone oggi vengono sussunte tutte dal singolo professionista/consulente che deve essere al contempo esperto di marketing personale, capace di negoziare le migliori condizioni di finanziamento con le banche, pronto a parlare di contabilità con il commercialista, rapido nel fare da agenzia viaggi di se stesso sfruttando le offerte su internet, abile nel valutare l’affidabilità e la professionalità di nuovi partner/fornitori, provetto nel conoscere i segreti di applicativi e sistemi operativi e via dilatando competenze e tempi di lavoro.

Uno dei paradossi sta proprio in questo: che all’incremento di ore lavorate e di competenze acquisite spesso non corrisponde un incremento di reddito. Non si tratta poi di un fenomeno marginale. Se si parte dal fatto che i dati recenti registrano la presenza in Italia di oltre 5 milioni di partite Iva attribuite a microprofessionisti e imprenditori e che altri calcoli determinano che la precarietà lavorativa (non solo partite Iva dunque, ma anche tutte le forme di lavoro a tempo e atipico) colpisce circa 3 milioni e 750 mila lavoratori, possiamo ipotizzare che alcuni milioni di lavoratori italiani vivono la condizione di “lavoratore a strati”.

Qualcuno potrebbe vedere in questa condizione lavorativa una sorta di job enrichment o enlargement. Io no. Stiamo entrando (per fortuna) in un’epoca di disillusione rispetto alle parole d’ordine di qualche anno fa quali flessibilità, multitasking, capitalismo personale. Dunque sempre più persone comprendono che questa condizione “a strati”, lungi dall’essere un elemento di modernità, è solo una soluzione inevitabile per sopravvivere alla crisi.

4 commenti:

Unknown ha detto...

Raramente mi sono trovata così d'accordo!
Unico punto su cui rifletto... La conclusione non sarà troppo ottimistica?
Nei dati elencati ne manca uno fondamentale: la disoccupazione costantemente in aumento, in particolare quella dei più giovani.

Quindi, a mio parere: coloro che lavorano hanno competenze in diversi campi ed eseperinze maturate in vari ambiti, tutto per riuscire a sopravvivere; gli altri (o molti di loro) faticano anche solo a cominciare.

Ma siamo conviniti che sia meglio avere e offrire numerose competenze invece di proporre e godere della conoscenza approfondita di argomenti specifici?
Entrambe le cose non penso siano possibili.

Alessia ha detto...

Collegandomi anche al precedente commento, vorrei solo richiamare alla mente il fatto che in questo contesto si stanno diffondendo molti corsi di laurea "trasversali", che cercano appunto di conferire ai futuri professionisti una serie di conoscenze in campi diversi, seppur collegati, con l'obiettivo (io parlerei più che altro di vana speranza) di facilitare l'inserimento in un ambiente lavorativo che richiede numerose competenze.
Io provengo proprio da questa "scuola" e, se da un lato nel presente posso constatare che questa impostazione mi sta aiutando a "rimanere a galla", non ritengo che questa impostazione possa "farmi emergere" dal gruppo per acquisire una vera e propria professionalità, a mio modesto parere legata solamente ad una specializzazione verticale.
Non c'è infatti il rischio che distribuendo il proprio tempo e le proprie forze del costruire una serie di competenze differenti, non si riesca poi mai ad essere completamente aggiornati e veramente professionali in ogni singolo ambito considerato?

Anonimo ha detto...

Sono un vero lavoratore a strati.
Ho fatto economia, statistica, campionamenti, poi programmazione, logistica ed ora export di infissi in legno!

Marco LIUZZ

Stefano Rossomando ha detto...

Le competenze che il mercato richiede devono essere per forza di cose a 360 °; Ormai è tutto collegato grazie al web "il rispetto è il segreto del successo quando si ha a che fare con le persone" e la comunicazione non illude più a nessuno perchè gli utenti condividono le loro informazioni e si istruiscono a vicenda.
il " target " grazie alla cultura del web è a volte anche più informato del consulente se non si conosce approfonditamente quello che si tratta si rischia di prendere solo" porte in faccia"il fatturato non è più legato alla vendita di prodotti o servizi ma alla consulenza e alla capacità di offrire soluzioni personalizzate e performanti e il premio non è più fisso ma legato alla capacita di soddisfare bisogni latenti.