Vanni Codeluppi è stato tra i primi in Italia ad affrontare le problematiche del biocapitalismo all’interno di un testo esplicitamente dedicato al tema, pubblicato da Bollati Boringhieri nel giugno 2008.
Nell’introduzione e nel primo capitolo Codeluppi riesce a sviluppare in maniera incisiva e profonda alcuni spunti di grande importanza, soprattutto quando ragiona sulle trasformazioni che la conoscenza ha subìto per diventare una merce fungibile e monetizzabile e quando presenta il terzo lavoro degli individui, che al tempo del lavoro e dello svago affiancano il tempo per la fruizione e la diffusione della conoscenza e delle pratiche che sostengono l’intera architettura della società in cui vivono. Ma lo spunto di Codeluppi (che in tal caso cita esplicitamente Angelo Deiana de Il capitalismo intellettuale,2007) poteva trovare maggior spazio nei capitoli successivi, che a volte indugiano a contestare delle pratiche di condizionamento dei consumatori o l’infiltrazione dei media e della cultura da parte delle aziende, fenomeno che, dalle classiche soap operas al product placement, non è proprio nuovo.
Meritava invece maggior approfondimento l’aspetto ideologico, semantico e mediatico del biocapitalismo, ovvero la necessità di capire e analizzare quali sono i meccanismi attraverso i quali (come dice De Kerchove citato da Codeluppi) “si forma una psiche elettronica che propone una paracoscienza collettiva”. Senza questa nuova coscienza collettiva, che a mio avviso rappresenta un salto qualitativo dello sviluppo economico umano, il biocapitalismo non avrebbe potuto svilupparsi.
Il buon vecchio Karl Marx denunciava l’espropriazione di valore dall’individuo sostanzialmente come una espropriazione della sua umanità, che sfociava poi nel processo di alienazione. Come si sa, il filosofo di Treviri pone l’origine del valore tout court nell’uomo e nel suo lavoro. All’epoca il conflitto era ben visibile nella sua materialità: lo sfiancamento di muscoli e tendini dopo una settimana di lavoro in opificio e l’abbruttimento morale e psichico che ne seguiva era innegabile. Spesso i lavoratori ignoranti non avevano la coscienza di classe che Marx invocava ma istintivamente i loro corpi e le loro menti si ribellavano alla fatica fisica.
Ma quando i processi di espropriazione diventano immateriali non vi è più un padrone manchesteriano da indicare come grande sfruttatore. L’estrazione del valore dagli individui avviene attraverso l’adesione a un modello culturale, ideologico ed estetico del tutto astratto, le cui manifestazioni, quali certi film, certi prodotti, certi format televisivi sono gli epifenomeni. Oggi l’estrapolazione del valore può anche avvenire mentre gli individui si divertono, invece che sudare in officina. La centralità passa dalla produzione al consumo e senza l’interiorizzazione di determinati modelli o format da parte della maggioranza degli individui l’intera meccanismo di accumulazione del valore immateriale si blocca.
Forse Vanni Codeluppi si sofferma troppo nella raccolta di tanti epifenomeni quali il branding, i reality, il cinema commerciale e finisce per sfuggire a una ricerca dei meccanismi profondi che sviluppano un’architettura di persuasioni condivise attraverso la quale oggi si estrae valore dagli individui e dagli oggetti.
Insomma, le leggi economiche della scarsità o dello squilibrio tra domanda e offerta non riescono a spiegare né perché una bottiglia di Sassicaia arriva a costare anche oltre 300 euro in giro per il mondo e nemmeno perché tanti giovani laureati e iperspecializzati accettino di donare il loro lavoro e le loro competenze come stagisti a volte anche per anni.
Penso che la sfida sia qui, nell'iniziare a capire ( e a contestare) ideologia, semantica e processi mediatici del biocapitalismo.
A Vanni Codeluppi il merito di aver aperto il dibattito e alcuni sentieri di analisi.
1 commento:
Caro Biagio,
sono d'accordo con i tuoi commenti. D'altronde, la mia intenzione scrivendo "Il biocapitalismo" era di scrivere un libro divulgativo per porre all'attenzione generale un tema che ritengo centrale. Perciò ho concentrato l'analisi teorica del biocapitalismo nel primo capitolo. Ti segnalo comunque che anche nel capitolo finale sul cinema ci sono delle riflessioni che ritengo importanti sui meccanismi di estrazione del valore dal lavoro emozionale del consumatore-spettatore.
Un cordiale saluto,
Vanni Codeluppi
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