mercoledì 7 gennaio 2009

Steve Jobs: la materialità dell'immateriale

Questo articolo di Paolo Madron su Il Sole 24 ORE di oggi sviluppa riflessioni che sempre mi affascinano: fino a che punto questa economia che sembra impalpabile, immateriale, finisce per rifrangersi ed essere riflessa dalla materialità delle singole esistenze?

Quanto vale il corpo di Steve Jobs? Qualche miliardo di dollari, ovvero la differenza tra la capitalizzazione della Apple di venerdì scorso e quella di ieri, nel momento in cui veniva diffuso un comunicato dello stesso Jobs che rassicura sul suo stato di salute: dietro il costante dimagrimento che lo ha accompagnato per tutto il 2008 non c'è, com'era facile paventare, lo spietato lavorio (jobs, lavori) di un vorace tumore, ma quello di un ormone impazzito che succhiandogli le proteine ne ha provocato il cristologico aspetto di questi mesi: spettralmente magro, allampanato, col viso smunto e vieppiù spigoloso.

Insomma, il genio del virtuale alle prese con un fisicissimo cortocircuito del suo apparato endocrino. Tanto è bastato perché la Borsa esultasse, dicendoci come per un ironico contrappasso i destini di una delle società emblema dell'economia immateriale siano appesi a un materialissimo impasto di ormoni, sangue e organi malfunzionanti. Qualcosa che va oltre il fatto che in America, a differenza che da noi, la salute non è mai una questione privata ma un pubblico indispensabile requisito per chi ricopre posizioni di responsabilità.

L'oltre deriva dal fatto che in questa sua via crucis con l'anomala malattia il 54enne Jobs sembra voglia incarnarsi nel corpo glorioso e martoriato del Dio dell'informatica in cerca di una sua personale redenzione. Ma da che cosa? È il presente che suggerisce le più temerarie analogie: il tunnel della sua sofferenza come metafora del travagliato riscatto di un'umanità avida che ha rovinato le economie del mondo, con lui che inconsapevolmente si immola per redimere i peccati che del diavolo Madoff.

Oppure invece la potente riaffermazione che sono le idee degli uomini e non un casuale e spesso maligno determinismo,o le asettiche geometrie dei suoi computer, a far progredire il mondo.

Chissà. Sta di fatto che il vistoso assottigliarsi di quel corpo procede di pari passo con l'evidente accrescersi della sua indispensabilità. Senza Jobs la Apple perderebbe quell'identità che anche nei momenti bui è sempre stata indissolubilmente legata al suo fondatore. Senza di lui verrebbe meno il rapporto simbiotico che ne ha sin qui giustificato esistenza e successi planetari.

Al punto che il suo ruolo non può essere surrogato da nessuno dei suoi collaboratori:e quando l'incolpevole direttore del marketing lo sostituisce al MacWorld di San Francisco, il più importante raduno mondiale dei seguaci della mela, il risultato è che viene azzerato il valore messianico dell'evento. Perché da sempre il discorso di Jobs era paragonabile alle rivelazioni di un annuncio profetico: ogni anno un prodotto, una novità, una suggestione futuribile capace di galvanizzare il popolo degli adepti.

Ma la sua malattia è anche altro. Per esempio un indizio che la potrebbe collegare all'ideologia del più assoluto individualismo di cui è permeato l'american dream, che nelle sue forme più parossistiche porta all'identificazione dell'uomo con il prodotto da lui creato. Qualche tempo fa, per definire il carattere di Jobs, industriale volutamente senza eredi designati, un suo collaboratore tirò fuori uno splendido aforisma: «La democrazia non produce prodotti grandiosi: c'è bisogno di un tiranno competente ».

Dunque in una interpretazione diabolica Jobs potrebbe giocare sulla metamorfosi del suo corpo come estrema prova di autoaffermazione,in ciò somigliante suo malgrado a certi attori di Hollywood dietro le cui modificazioni d'aspetto si cela, oltre che l'obbligo di un copione, anche una volontà di potenza che li spinge a sottomettere il fisco al totale servizio della propria creatività. O, nei casi estremi, a farlo diventare lo strumento forte di una strategia di marketing minuziosamente studiata.

Questo potrebbe spiegare, ad esempio,perché per un intero anno il corpo di Jobs abbia tenuto banco almeno quanto i suoi più concupiti oggetti del desiderio, dall'iPod all'iPhone, al computer supersottile. E questo spiega perché Jobs concluda il suo comunicato di ieri con un appello dove si dice sicuro che la comunità Apple lo sosterrà nella sua convalescenza, consapevole che lui ha sempre messo il bene di quella comunità davanti a ogni cosa. Un discorso che anche il più competente dei tiranni non esiterebbe a far suo.

Nessun commento: