Perché in Italia non riusciamo a produrre o a sfruttare le innovazioni (pochi sanno che lo standard MP3/MP4 è stato promosso da Leonardo Chiariglione) che stanno cambiando non solo la tecnologia ma la storia del mondo? Abbiamo tutti deciso che è meglio fare gli idraulici o fare i geometri arricchendoci con qualche palazzina abusiva?
Il paradosso italiano è che se si è giovani e senza la possibilità o la voglia di seguire il percorso del padre (notaio o idraulico fa lo stesso) vi sono poche possibilità di avere un lavoro con un salario decente mentre vi è la certezza di ritrovarsi in pensione tra 35-40 anni con un assegno oscillante tra i 350 e i 500 euro. Per secoli vecchiaia ha significato povertà. Nella paradossale Italia di oggi il rischio di essere poveri è più legato all'essere giovani.
Mentre i lavori manuali a bassa qualificazione hanno subito la concorrenza delle manifatture dei paesi emergenti come anche della forza lavoro degli immigrati, le persone altamente formate si ritrovano un'offerta di lavoro scarsa, poco pagata, precaria. Per dirla con le parole di Ignazio Visco sull'ultimo numero de il Mulino: “I giovani pagano con bassi salari e condizioni di lavoro precarie l'incompatibilità tra ciò che sanno e ciò che viene loro offerto”. L'articolo di Visco è ricco di spunti ma sbaglia a mio modesto avviso impostazione e conclusioni. Risulta abbastanza banale evidenziare i ritardi del sistema formativo italiano (sia pure sulla scorta di dati OCSE incontrovertibili) o esaltare la necessità di una formazione continua: queste considerazioni sono oramai patrimonio collettivo nelle argomentazioni economiche delle élite di qualsiasi orientamento, quasi dei truismi buttati lì in ogni dibattito per acquistare un facile consenso.
La risposta che vorrei da Visco, capo economista della Banca d'Italia, riguarda come cambiare l'assetto economico del paese, ovvero quali politiche industriali e sociali intraprendere per indirizzare gli investimenti verso i settori di avanguardia con margini a doppia cifra e come valorizzare il capitale cognitivo di giovani sospesi tra ruoli marginali e mansioni sottopagate.
Altro che le tirate dei ministri Gelmini e Sacconi contro certe lauree e a favore dell'istruzione tecnica: queste sparate, buone solo a guadagnarsi un po' di visibilità mediatica a buon mercato, trarrebbero anche un senso da certe situazioni oggettive se non venissero da esponenti di un Governo che finora non ha fatto nulla per valorizzare chi ha investito sul proprio capitale cognitivo.
La questione centrale è invece quella di rendere di nuovo pregiato il patrimonio cognitivo delle persone.
Economia della conoscenza significa che si produce conoscenza a mezzo di conoscenza, traendone un vantaggio economico non più in funzione delle ore di lavoro o del costo delle materie prime ma in base alla capacità di problem solving, di produzione di ulteriore conoscenza, del contenuto esperienziale e dell'arricchimento cognitivo che si eroga al cliente. A quel punto il prezzo diventa un fattore incomparabile, definito solo dall'abilità dell'azienda a trasferire al cliente modelli cognitivi e attese esperienziali capaci di rendere ai suoi occhi unico un prodotto o un servizio: “un oggetto cognitivo”.
Non mi soddisfano le conclusioni di Visco perché oggi in Italia anche quella élite di giovani con alta formazione e competenze superiori non incontra un sistema economico capace di inglobarli e di “metterli a valore”, nonostante questa élite sia numericamente molto più ridotta rispetto a quella degli altri paesi UE.
Allora tanto vale che proporre ai 4 lettori di questo blog alcune proposte che finora ho sentito o letto poco o punto:
introduzione di un reddito di cittadinanza, spendibile anche sotto forma di servizi gratuiti per la riproduzione del capitale cognitivo delle persone (corsi di specializzazione, fruizione di iniziative artistiche, acquisto agevolato di libri, ecc.)
imporre per legge il pagamento degli stage per non meno di 800 euro al mese
deduzioni fiscali per imprese che assumono almeno con contratti a tempo determinato giovani da impiegare nei settori della ricerca, del marketing e della comunicazione, dell'internazionalizzazione, nella elaborazione di software e design, nella formazione interna, e in altri ambiti ad alto contenuto cognitivo
creare meccanismi ispettivi per verificare che gli stage abbiano un carattere formativo
finanziare ogni anno concorsi rigorosissimi per l'assunzione di giovani con alta formazione in tutte le aziende di Stato, per incrementare lo sviluppo di nuovi prodotti, nuove ricerche e nuove applicazioni
Penso che la lista possa essere facilmente allungabile da parte dei miei lettori. E sarebbe anche il caso che, mentre si aspetta che l'Italia offra loro buona occupazione, i giovani con cervello sappiano proporre ai vecchi decisori dall'encefalogramma quasi piatto idee e percorsi innovativi in cui dimostrare il proprio valore.
4 commenti:
Completamente d'accordo con i punti elencati e con la questione del bagaglio cognitivo che è fondamentale. In particolare mi soffermerei sul terzo punto. Assumere alle aziende costa troppo e questo è come l'uovo di Colombo. La legislazione non aiuta, anzi penalizza. Secondo me è proprio da qui che bisognerebbe partire per poi generare tutta una serie di effetti a catena positivi sull'occupazione.Sui giornali però si legge solo di politici che denunciano la situazione attuale ma che così nel concreto poi non scendono.
Stage retribuiti a minimo 800€/mese? Magari! Ma, a quel punto, le retribuzioni per i contratti a tempo determinato (e, in alcuni settori, anche indeterminato) dovrebbero essere pari almeno al doppio, mentre, nella realtà, soprattutto in settori quali la comunicazione, raramente si arriva oltre i 1500€/mese, dopo anni di gavetta a 1000 o giù di lì. Concordo in pieno con la tua conclusione, comunque: se i giovani non propongono novità e alternative, di certo non ci possiamo aspettare che lo facciano i vecchi.
sicuramente la congiuntura (economica, astrale, mentale...)non ci aiuta, ma quanti hanno capito e assimilato quello che hanno studiato? l'università di oggi non forma, nè informa. Non basta avere la qualifica, ci vogliono le palle. Onestamente mi accorgo che non tutti i giovani di oggi hanno la voglia di tirarle fuori. Il famoso posto alle poste non c'è più, piaccia o no. Il mondo è na chiavica, gli stipendi fanno schifo e bla, bla, bla, meno pippe mentali e più determinazione, altrimenti le cose non cambieranno mai!
Secondo me, Biagio, il punto è un altro. Da vent'anni faccio la consulente, cioè cerco di vendere il mio sapere e il mio saper fare. E da altrettanto tempo mi trovo davanti gente che le idee le vorrebbe gratis. Magari sono gli stessi che hanno in tasca ultimo telefonino, o girano su macchinoni esagerati. Per quelli fanno le rate, pagano senza battere ciglio e senza discutere. Ma le idee no, quelle devono essere gratis! In fondo un'idea può venire a chiunque... E che ci vuole?
Tu parli di valorizzare il patrimonio cognitivo, ma a me pare che qui la conoscenza è considerata tutt'altro che un patrimonio.
Qui ancora pensiamo che una buona idea è un colpo di fortuna, mentre altrove sanno che una buona idea è il frutto di una riflessione, di investimenti, di sapere accumulato nel tempo.
Altrove sanno che dalla conoscenza immateriale vengono fuori prodotti materiali, che si vendono e aiutano a far soldi.
Ecco perché Apple fa i miliardi con gli Ipod e noi no!
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