Ho appena finito di guardare su "Quest means business" in onda sulla CNN un'intervista ad Alain de Botton (una sorta di Alberoni anglosassone, ma ricco di famiglia, chiaro?), che per una settimana ha vissuto dentro l'aeroporto di Heatrow e ne ha ricavato un libretto intitolato "A week in the airport".
Operazione ovviamente promossa dalle direzione comunicazione della BAA, che gestisce i tre aeroporti londinesi e i tre principali in Scozia.
Tanto di cappello per un'idea che nessun comunicatore italiano avrebbe mai potuto avere e se per caso gli fosse venuta di certo sarebbe stata annegata dai timori dei veri decisori: "e se lo scrittore si trovasse nel bel mezzo di una protesta di passeggeri ?", "e se lo scrittore scopre come funzionano male i servizi di terra?", " e se lo scrittore parla con gli equipaggi che spifferano tutte le magagne a bordo degli aerei (indovinate di quale compagnia?)?". Mica si può proprio dargli torto?
Certo, abbiamo la pigrizia mentale dei comunicatori italiani che tante volte denuncio. Ma cosa puoi comunicare, cosa vuoi inventarti quando i servizi di base della tua azienda funzionano male e la comunicazione è chiamata a fare da cerimoniale o da cortina fumogena?
Intervistato da Richard Quest, de Botton ha detto che il solo vedere sui monitor centinaia di destinazioni crea nelle persone un sentimento di possibilità, e questo rende loro piacevole l'aeroporto. Ma l'esatto opposto delle possibilità è la frustrazione, che prende tanti viaggiatori italiani intrappolati per ore negli aeroporti, pregando con gli occhi ai monitor che finalmente appaia l'orario di partenza del loro aereo.
mercoledì 30 settembre 2009
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martedì 29 settembre 2009
Una generazione (de)qualificata?
Centinaia di “nuove professionalità” hanno fatto il loro ingresso nel mondo del lavoro negli ultimi due decenni. Ma quante di esse si sono sedimentate nel tessuto sociale come nuove professioni, con un loro statuto, principi, percorsi formativi? E quante presunte professionalità non sono state invece nient'altro che la conseguenza di una serie di processi di scomposizione, riaggregazione ed esternalizzazione di mansioni tradizionalmente seguite internamente all'azienda da soggetti che venivano genericamente definiti “impiegati”?
Queste “nuove professionalità” sono state per lo più proposte alla fascia di età che oggi è compresa tra i 40 e i 25 anni. Lo stipendio mediamente basso (la generazione “mille euro”) è già un indizio di mansioni oggettivamente di bassa qualità oppure altamente fungibili.
Il mondo del marketing e della comunicazione non sfugge a questa tendenza, anzi. A fronte di società medio-grandi, capaci di offrire dei percorsi di crescita professionale, vi è una miriade di realtà piccole o micro in cui spesso la compressione dei costi porta ad utilizzare il personale per mansioni ripetitive, esternalizzate dai clienti proprio perché povere di valore aggiunto. Entrare in queste realtà a volte significa vivere un percorso frustrante, una paralisi professionale, l'abbassamento delle prospettive di vita. Ogni giorno si rischia di perdere qualcosa e di sentirsi sempre più dequalificati.
Se associamo questo fenomeno di “outsourcing povero” al fatto che gli investimenti in formazione nel settore del marketing e della comunicazione in Italia sono cronicamente scarsi, viene fuori il quadro di una fascia di lavoratori e lavoratrici oggettivamente dequalificata, a forte rischio di essere espulsa dal settore non appena superata la soglia dei quarant'anni o nel momento in cui avanzerà delle richieste legate al suo ambito privato (mobilità, flessibilità di orari, parentalità, ecc.). Tanto vi è un piccolo esercito intellettuale di riserva, più giovane, più motivato, più manipolabile, più ricattabile, pronto a prendere il loro posto.
Uno scenario tanto realistico quanto inquietante, in cui si trovano avviluppate tante persone che non possono neanche contare se nessuna forma di ammortizzatore sociale.
Ma quali sono le esperienze dei miei quattro lettori a tal proposito?
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lunedì 28 settembre 2009
Persone-discount
Ogni persona ha un suo prezzo, si sa. Ma troppe oggi hanno un prezzo da discount.
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domenica 6 settembre 2009
Arie
Karl Kraus: "Ci sono donne che non sono belle, hanno solo l'aria di esserlo".
E ci sono anche donne che si danno arie di essere belle, e trovano sempre qualche uomo che ci casca.
E ci sono anche donne che si danno arie di essere belle, e trovano sempre qualche uomo che ci casca.
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