sabato 28 febbraio 2009
Viral Obama
Dopo il Viral Durex il Viral Obama. Il Presidente americano ha sviluppato un poderoso viral marketing durante la campagna elettorale. A differenza dei politici nostrani lui ci crede, i risultati gli danno ragione e anche da Presidente continua a utilizzare questo strumento.
Mentre il viral marketing delle aziende è sempre trainato da un contenuto divertente o ironico o inusuale, quello politico si basa sull'apostolato dei supporters (da notare che negli USA i sostenitori che fanno il porta a porta si chiamano canvasser proprio come i venditori che fanno il loro giro di visite, il canvass, appunto) che selezionano tra i loro amici coloro che più sono interessati o coloro che possono cambiare opinione.
Sul sito di Barack Obama vi è la pagina dove guardare e inviare i video del Presidente (http://my.barackobama.com/page/invite/budget). A sinistra poche righe introducono il video. A destra la lista dove inserire le email cui virare il video ma sotto anche il tasto che in automatico si collega alla lista dei propri contatti email. Più sotto ancora i form per inserire i propri dati e il tasto di invio. Da notare anche il nome della pagina "my.barackobama", come "myspace": il mio Presidente, ma anche il Presidente "a modo mio". Una pagina molto semplice e molto efficace.
Vi è una differenza profonda tra la narrazione che fa Obama di sé e quella che fanno leaders europei come Berlusconi o Sarkozy. Mentre gli ultimi due chiedono quotidianamente un referendum su loro stessi più che sulle loro politiche attraverso un sondaggistico e riduttivo sì o no, Barack Obama affianca alla narrazione della propria biografia la continua mobilitazione della sua base elettorale usando specialmente i nuovi media. In termini mediatici Sarkozy e Berlusconi sono televisivi, agiscono politicamente in una modalità broadcasting (la comunicazione parte da un solo punto verso tantissimi riceventi), mentre Obama è molto spostato sul versante dei social e personal media (il telefonino è un personal media a tutti gli effetti, anzi tra i più potenti) che attivano costantemente una rete di connessioni inerenti le iniziative del Presidente e a suo supporto.
Obama rappresenta una sorta di presidenza diffusa in termini comunicazionali: ai sondaggi che rendono ansiose le mattine delle leadership europee a partire da Berlusconi, egli affianca un sistema molteplice di nuovi media che richiedono strumenti nuovi di monitoraggio e analisi ma offrono anche un supporto politico molto più vasto ed efficace del solo presidio televisivo. A quest'ultimo basta la ripetizione ossessiva di pochi slogan e delle immagini del leader per funzionare. Nel campo dei nuovi media senza la costante produzione di idee e nuovi contenuti da veicolare tutto si ferma.
Certo, per chi ha poche idee e scarsi contenuti meglio la televisione.
sabato 21 febbraio 2009
Viral Durex
Non c'è che dire. Un'ottimo esempio di comunicazione virale. Prima divertiamoci e poi chi vuol lasciare commenti sarà il benvenuto
giovedì 19 febbraio 2009
Il corpo del Cavaliere
Dopo la caduta delle grandi narrazioni, l'unica narrazione possibile è quella personale, un'autobiografia in fieri su cui possiamo chiedere il consenso o subire le critiche di chi ci circonda. In quest'epoca il corpo e il privato del politico diventano il messaggio politico stesso.
Filippo Ceccarelli su Repubblica di oggi conduce una riflessione di grande valore su questo tema. Buona lettura!
«Ci ho messo la faccia e ho vinto» ha detto l´altro giorno il presidente Berlusconi. Ecco, di solito le fatiche degli autori, come quelle dei giornalisti, non fanno notizia, ma rispetto al mistero glorioso della faccia del Cavaliere si rende indispensabile un´eccezione, tanto più davanti a un testo debitamente illustrato che dischiude prospettive a loro modo sconvolgenti: "Il corpo del capo", appunto, di Marco Belpoliti (Guanda, 157 pagine, 12 euro). Le fatiche di Belpoliti non riguardano tanto le parole, ma l´immane ricerca di reperti e fotografie per così dire primigenie del Cavaliere, un lavoro di scavo dentro archivi, cassetti, magazzini e mitologie che per qualche tempo ha reso questo poliedrico intellettuale un appassionato archeologo del berlusconismo visivo, o meglio della sua autorappresentazione ottica, psichica, magica e quindi pure elettorale. Perché in quelle prime, antiche immagini scampate dai rastrellamenti di Miti Simonetto, che acquistava a caro prezzo ogni istantanea che potesse danneggiare il Signore di Arcore, è custodito l´antefatto e forse anche il segreto della più straordinaria storia di potere degli ultimi settant´anni. Intuizione fulminante. E davvero già allora, anzi meglio di oggi si coglie in quei ritratti - espressioni, acconciature, pose, vestiti, particolari, sfondi - «una esagerata volontà» di essere presente nell´album di famiglia degli italiani. Si coglie in quel giovanotto un istinto, «a tratti perfino diabolico», di pensarsi in rapporto al pubblico. Una totale determinazione, «una forza di megalomania altamente efficace» che fin dagli anni Settanta porta quel rampante costruttore milanese a riflettersi negli sguardi altrui come in uno specchio, attivando dispositivi a un livello assai profondo, suscitando comportamenti che solo lui, poi, è in grado di sfruttare. Noi ha un´idea delle leggende iconografiche che accompagnano il primo Berlusconi: apocrifi, falsi, foto ritoccate, attribuzioni incerte, a torso nudo come l´ha fatto vedere Mamma Rosa in tv, oppure modello della pubblicità (liquori, gelati): forse è lui, forse no, forse è un fotomontaggio, magari da lui stesso messo in circolo per qualche ermetica, ma funzionale strategia mediatica. Comunque Belpoliti è risalito alle fonti, ai fotografi, quelli che per primi hanno "visto" e sentito l´incantesimo di un consenso che è anche fisico, quella maschera di simpatia istrionica e di pura esteriorità come privata dell´anima, come un fantasma che già abita dentro ciascuno e grazie a quella disumana alterità si attiva. Viene da chiedersi se mai Berlusconi leggerà questo libro, e se rivedrà queste immagini che documentano la mostruosa vocazione di un imprenditore che prima di tutti ha compreso che il potere degli spettacoli inesorabilmente si commuta nello spettacolo del potere. Giuseppe Pino, un grande delle foto di musica, lo riprende mentre fa il gesto di Fonzy. Mauro Vallinotto lo immortala sul primo predellino della sua carriera e poi fondatore di utopiche città del sole. Alberto Roveri, che a distanza di trent´anni ricorda con ammirazione l´entusiastica disponibilità del soggetto davanti all´obiettivo, gli ha acchiappato al volo una fantastica aria tra il furbo e lo strafottente, qualcosa che in ultima analisi confessa l´essenza del potere: «Vi ho fregato, perciò fidatevi di me». Il primo fotografo ufficiale del Cavaliere è Evaristo Fusar. A lui si devono dei significativi ritratti nei quali Berlusconi, quasi per scherzo, entra nel ruolo del gangster fascinoso, con Borsalino in testa e sigaretta accesa tra le dita, alla Alain Delon. Giustamente Belpoliti suggerisce di guardare sempre le mani del Cavaliere: non le vedi, eppure ci sono, stanno là dove meno te le aspetti, immobili in un corpo in movimento, emblemi arrivati chissà da quale realtà, le dita come ganci sulle spalle della prima moglie, regina vaporosa. Nell´elegante, irreale bianco e nero di Fusar la star sta per farsi re e poi idolo. Ha poco più di quarant´anni, ma già ritocca a matita e con l´aerografo i suoi ritratti, nasconde calvizie, alleggerisce il naso. E presto cambierà anche fotografo. Nel libro ci sono tesori d´interpretazione "alta" e complessa, a partire da Jung a Debord, poi i grandi della sociologia europea e americana, naturalmente Kantorowicz, e Simmel, Baudrillard, Meyrowitz, Goffman, Morin, Bauman, quindi Calvino, Pasolini. Ma gli spunti sono parecchi, da Susan Sontag a un romanzo di Franco Cordelli, studi sul sorriso, i capelli, il travestitismo, le mummie, la civetteria, certe immagini di Philip Dick, fino a Andy Warhol che utilmente, secondo l´autore, si sarebbe esercitato sul Cavaliere e i suoi colori (rosa e azzurro) e che per un soffio non l´ha conosciuto, a Milano, durante l´esposizione sull´Ultima cena. Perché forse solo a partire dal corpo, così come avviene con un altro grande capo italiano, Mussolini, ci si avvicina al nucleo più misterioso, al grumo indicibile del comando, qualcosa che ha a che fare con l´ambiguità della vita, con il transito nel tempo e nei cervelli, un´«accelerazione nel nulla», un «arcano spiazzamento», un´«alterità segreta», androgina, una doppia natura maschile e femminile di cui il corpo-icona è la più abbagliante testimonianza. E allora certo le veline, le battute galliste, ma la bandana sembra il fazzoletto di una contadina e intreccia passi di danza come una pin-up, il Cavaliere, nell´istantanea di un altro importante fotografo, Giorgio Lotti, cui è in pratica appaltato il corredo iconico del "fotoromanzo" elettorale Una storia italiana, favola per adulti, capolavoro di intimità costruita, rivelata, poi coscientemente tradita in nome della sua missione ormai incarnatasi alla guida dell´Italia. Così, quando i ritocchi fotografici non bastano più, c´è la dieta, la ginnastica, la corsa rituale con i seguaci alle Bermuda; e poi c´è il primo, poi il secondo trapianto di capelli e i lifting (molti, in realtà, a partire dagli anni ottanta) che gli danno l´immobilità plastificata del pupazzo: ma vivente, altroché! Sullo sfondo si profila - ed è ormai cronaca - la più evidente lotta berlusconiana per l´immortalità, un presente indifferenziato e senza tempo. Esito come s´immagina del tutto illusorio, al di là di ogni umano pronostico. Ma intanto Berlusconi la faccia ce la mette, e continua a vincere. E allora tanto vale appassionarsi alla questione del suo corpo, se non altro perché ne va del destino di tutti.
martedì 17 febbraio 2009
Dal ciclo della notizia alla produzione dei contenuti
Non si tratta ovviamente di farsi prendere dall'entusiasmo tecnologico e buttare a mare il patrimonio di esperienze e di pratiche sviluppate dai tempi di Edward Bernays e Ivy Lee. Eppure non si possono pensare le relazioni con i media senza una strategia di integrazione tra mass media tradizionali (tv, stampa, radio), social media (facebook, friendster, myspace, twitter, squidoo, ecc.) e personal media (blog, podcast autoprodotti, youtube, ecc.).
Con i nuovi media sociali saltano le logiche, le tempistiche, le abitudini, i modelli di relazione tra i soggetti che caratterizzano le professioni tanto del comunicatore che del giornalista. Nel momento in cui i mass media entrano nella logica della produzione continua di notizie col modello all-news, quando un qualsiasi cellulare può fare uno scoop in qualsiasi parte del mondo, quando un blogger può caricare online un contenuto tanto esaltante quanto devastante per l'immagine di una persona o di un'impresa, cosa significa tenere sotto embargo un comunicato stampa, a parte i casi previsti dalle normative borsistiche? Grazie ai nuovi media il ciclo della notizia si salda dall'inizio alla fine, internet diventa una immenso archivio dove una notizia resta per anni finquando qualcuno non la recupera, la cita, la linka, al rimette in circolazione. Il vecchio media relator poteva dire il suo lavoro concluso quando la notizia veniva adeguatamente riportata dai media di massa e inserita nella rassegna stampa consegnata al committente. Oggi la pubblicazione diventa l'inizio di un ulteriore ciclo di vita, dove chiunque può utilizzare e, attenzione, manipolare un contenuto digitale e rimetterlo in circolazione, anche a distanza di anni. Il modello tradizionale resta, ma raggiunge sempre e fasce di pubblico sempre meno pregiate. I modelli innovativi sono oggi ancora minoritari, ma sono quelli attraverso i quali si formano mode, tendenze, consenso informato e critico.
Ancora: se si vuole iniziare a lavorare con i nuovi media quando, come e con quali contenuti contattare un blogger? Forse proprio i contenuti scartati a priori sulla base dei parametri di notiziabilità dei mass media per i blogger specializzati e la loro audience sono particolarmente appetitosi.
E poi: quale linguaggio usare per veicolare un contenuto a una comunità di esperti raccolta attorno a un canale satellitare, a un blog, a un newsgroup? Davvero il vecchio comunicato stampa (“non più di due pagine”) può soddisfare le attese di queste comunità dove si trovano spesso i clienti migliori e più aperti alle innovazioni?
Nei media tradizionali il comunicatore può utilizzare anche meccanismi spintanei di varia natura (rapporti personali, appartenenze politiche, adesioni ad associazioni, relazioni di potere aziendali, rapporti con gli azionisti e via condizionando) ma cosa fare per persuadere un blogger sconosciuto al circuito comunicatori-aziende-giornalisti ma con grande reputazione tra i suoi lettori? Se un blogger postasse un video che denuncia i comportamenti scorretti della tua azienda o gli strafalcioni dei suoi dirigenti di vertice come risponderesti? Con un comunicato stampa? Ma dai, saremmo ben oltre la soglia del ridicolo comunicazionale. E se domani qualcuno (un mattacchione, un concorrente, un nemico) creasse un gruppo su FaceBook del tipo “Vittime dell'inaffidabilità dei prodotti XY” o “Vaffanculo all'amministratore delegato di banca ZW”? Risponderemmo con una contropagina su FB a nostro favore? Evitiamo il ridicolo anche stavolta. Il circuito notizia-smentita-rettifica mostra la corda anche sui canali tradizionali, figuriamoci su internet.
Sono persuaso che non esiste “la notizia” in assoluto, ontologicamente definita una volta per tutte. Esistono invece contenuti che possono entrare in diversi cicli di produzione della notizia sulla base di diversi media. Se si accetta questa logica chi si occupa di comunicazione deve interpretarsi non più come un distributore di comunicati stampa o un acquirente di spazi pubblicitari o un organizzatore di conferenze ma come un produttore di contenuti inerenti la sua organizzazione e il contesto di cui essa fa parte. Mentre si “fa notizia” forse una volta al mese, si possono produrre contenuti tutti i giorni. Ed è questa la sfida ma forse anche l'unico modo per comunicare correttamente e non scomparire all'incrocio affollato tra mass media e nuovi media sociali.
mercoledì 4 febbraio 2009
Identità virtuali
I giornalisti dei quotidiani usano la sua pagina su Facebook per ricostruirne interessi, passioni, idiosincrasie, la rete di amici e la musica preferita. Il profilo virtuale, essendo pubblico e facilmente accessibile, diventa quindi l'identità ufficiale (o almeno ufficiosa) e per questo notiziabile della vita di un individuo.
A questo si aggiunge la superficialità di qualche giornalista, come evidenzia Michele Cinque di Positanonews in una profonda riflessione che invito a leggere: "alcuni gli hanno attribuito la passione per Berlusconi senza accorgersi che si era iscritto al gruppo, macabro, di "quando morirà Berlusconi ballerò sulla sua tomba".
Et voilà, ecco servita a voi lettori una identità pronta all'uso e al consumo che meglio serve ai nostri bisogni. Sezionando e selezionando le nostre traccie digitali, spesso frutto di un cazzeggio ancora considerato innocuo, qualcuno potrà domani, oggi, costruirci addosso le prove della nostra colpevolezza, della nostra doppiezza, della nostra abiezione.
E nessuno di noi potrà protestare. Non vi sarà neppure bisogno di testimoni falsi e prezzolati poiché quei commenti, quelle ironie, quelle immagini erano state scelte proprio da noi mentre ci scrivevamo addosso, inconsapevoli, la nostra condanna.