In un recente articolo sull’Huffington Post, William K. Black, professore di economia e
giurisprudenza all’Università del Missouri, ha ragionato su quanto l’emigrazione
di illetterati italiani a cavallo del secolo scorso dalla madrepatria agli
Stati Uniti sia stata benefica per gli Stati Uniti. Egli stesso è sposato con una
italoamericana dai nonni poveri illetterati calabresi ma oggi professoressa
universitaria dopo la laurea a Yale e con decine di cugini dentisti, ingegneri
biomedicali, infermiere, banchieri e impegnati in altre profesioni ad alta produttività.
Black appartiene
a quella corrente di pensiero economico, di cui alfiere è Paul Krugman, che
ritiene che le politiche di austerità stiano distruggendo ogni capacità di
reazione e di uscita dalla crisi delle nazioni dell’Europa mediterranea. Con una
disoccupazione giovanile da Grande Depressione, al 35%, dice Smith, l’Italia
non può pensare di rilanciarsi se non mette in campo politiche attive, sostenute
da significativi investimenti pubblici, per convogliare al lavoro questa massa di talenti
e di energia oggi inattiva
E, ancora peggio,
questa austerità viene giustificata con la necessità di salvaguardare il futuro
delle generazioni più giovani quando queste, proprio a causa dell’austerità che
taglia concorsi, borse di studio, sgravi, incentivi e finanziamenti, sono costretti ad andare via dal
proprio paese. Una ipocrisia che finora i grandi media non hanno (ovviamente,
direi) evidenziato.
È vero che l’Italia
non ha Harvard o Yale e che anzi il sistema universitario è uno dei più
vischiosi e poco meritocratici d’Europa, troppo spesso una fucina di mediocrità
e di conformismo a uso e consumo delle classi dirigenti di un paese senza più
idee. E allora Smith propone di creare delle università al sud dove possano
trovare spazio proprio tutti gli italiani della diaspora intellettuale. L’idea
è affascinante ma noi italiani sappiamo bene che la forte lobby dei docenti
universitari farebbe di tutto per affossare qualsiasi idea di una università
sganciata dalle loro cordate di potere.
Ma internet ci
può venire incontro: perché non creare un’università virtuale, una piattaforma
basata forse su un wiki, dove gli
italiani che ora insegnano o fanno ricerca all’estero possano riversare le loro
competenze a uso e consumo di tanti giovani che non trovano nell’università
sotto casa (al Sud come al Nord, perché solo quella si possono permettere) quei
contenuti e quella qualità di cui hanno bisogno?
Si tratterebbe di
creare la prima facoltà digitale di studiosi, ricercatori e docenti italiani
che lavorano all’estero spesso perché costretti a farlo per non accettare i
compromessi e le mediocrità e le meschinità delle Università come del mondo del
lavoro nazionale. Un contributo di tutti assolutamente gratuito per condividere
e diffondere i saperi, i percorsi di studio e anche gli approcci originali alla
materia che non hanno trovato spazio in madrepatria. Vogliamo provarci?