In un momento deprimente per l'economia e la società italiana si sente in giro il desiderio di essere rassicurati. Anche se gli incrementi dei prezzi finali di pasta e pane in Italia negli ultimi sei mesi sono stati maggiori di quelli di oro e platino (e non si tratta né di un'iperbole né di un'ironia), tanti sperano comunque di trovare motivi di speranza, se non di fiducia. Spiacente, non è il caso di questo post.
La più recente conferma della crisi italiana è data dalla pubblicazione della quinta edizione del World Knowledge Competitiveness Index, il rapporto che dal 2002 misura la competitività delle 145 regioni più sviluppate del mondo sulla base di creatività, innovazione, conoscenza diffusa e condizioni ambientali piuttosto che solo sulla mera ricchezza accumulata. Il rapporto parte dall'assunto che le regioni con un forte capitale in termini di conoscenza sanno e sapranno rispondere meglio alle sfide della competizione internazionale, ovvero, prendendo alla lettera il testo, posseggono “la capacità diffusa di creare e innovare nuove idee, riflessioni, processi e prodotti, e di trasferirle in valori economici e benessere”. L'intero testo può essere scaricato cliccando su questo link , ma nello spazio di questo post mi soffermerò solo su alcuni spunti.
Sei regioni italiane sono rientrate nella ricerca: Lombardia, Nord Ovest, Emilia-Romagna, Nord Est, Lazio, Italia Centrale, le quali si sono piazzate in questa graduatoria mondiale rispettivamente al 96esimo, al 100esimo, al 117esimo, al 119esimo, al 123esimo, al 126esimo posto. La ricerca dimostra, modelli di regressione alla mano, che la ricchezza degli abitanti delle regioni è strettamente correlata alla posizione in graduatoria, e osa addirittura ricordare (al ministro Gelmini, tra i tanti) che il capitale umano e intellettuale futuro di ogni regione è incorporato in coloro che adesso stanno studiando e in quanto si investe su di essi. Il rapporto evidenzia come tutte le regioni italiane hanno perso rispetto alla rilevazione del 2005 tra i 12 e le 17 posizioni in graduatoria, tranne il Nord Ovest, che guadagna una posizione. Tutto questo in uno scenario dove negli ultimi tre anni l'Europa è riuscita a migliorare le sue performances. Le regioni italiane considerate ricche (Lombardia e Nord Est) non entrano nella classifica delle prime cinquanta che negli ultimi cinque anni hanno avuto la maggior crescita della ricchezza per abitante, dove invece troviamo il Lazio con un +18% e il Nord Ovest con un +14,5%. Peggio va nella graduatoria che misura l'intensità della conoscenza nelle varie regioni, in cui nessun'area italiana figura nelle prime cinquanta. Vi sono naturalmente delle eccellenze italiane, come il settimo posto per occupati nel settore biotecnologico e chimico e il dodicesimo nell'elettromeccanico della Lombardia o l'undicesimo dell'Emilia-Romagna per l'ingegneria meccanica e automobilistica, ma siamo fuori da tutti i posti di testa per quanto riguarda gli investimenti in R&D sia pubblici che privati. A fronte di questi fatti, risulta quasi miracoloso che Lazio e Nord Ovest siano al 15esimo e al 16esimo posto per produttività, e quando tante vocette confindustriali parlano di miglioramento della produttività mi chiedo dove sono le imprese italiane quando si tratta di investire in formazione e ricerca. Senza investimenti in formazione non c'è competitività e non c'è futuro, può essere uno slogan utilizzabile da tutti (certo, non dall'attuale Governo), ma il WKCI 2008 evidenzia un legame di regressione (R²) tra investimenti totali in educazione e competitività nell'economia della conoscenza delle regioni pari a un notevolissimo 0,3988!
Un'ultima nota: in Italia, grazie anche ai recenti scandali, c'è ancora chi si balocca con l'idea che tanto la Cina continua a produrre beni dal basso costo e dal basso valore aggiunto e ci vorranno decenni prima che arrivino da quella parte del mondo prodotti realmente innovativi e di qualità. Il WKCI 2008 dimostra esattamente il contrario, prendendo in esame le tre regioni più importanti della Cina (quella del golfo di Bohai, intorno a Beijing; quella del delta del fiume Yangtze, intorno a Shanghai; quella del delta del fiume delle Perle, intorno a Guangdong), e dimostrando che attraverso fortissimi investimenti statali o esteri oppure grazie al network tecnologico ed economico sviluppato e alimentato da Shanghai la Cina sarà il nuovo attore mondiale dell'economia della conoscenza.
Forse in Italia più che di investimenti in conoscenza si continuerà ancora a lungo a parlare di “conoscenze”, unico strumento che tanti, troppi, hanno per cercare di affrontare individualmente la crisi.