Sappiamo dai fondamentali studi di Habermas l’importanza che hanno avuto i quotidiani nella creazione e nella definizione degli ambiti della “sfera pubblica” e come il filosofo epigono della scuola di Francoforte critichi le distorsioni prodotte da mass media, public relations e consumismo.
L’opinione meditata, scritta, argomentata con una sua logica che può essere smentita o smontata sulla base di principi condivisi da chi partecipa alla discussione è un modello ideale, che in realtà non è mai esistito. Anzi, spesso i quotidiani sono serviti per infiammare gli animi e inculcarvi principi irrazionali, violenti e contrari ai diritti basilari delle persone. Non è un caso d’altronde che un giornalista ha tenuto in pugno per un ventennio l’Italia e che gli strumenti di propaganda attraverso un uso efficace dei mass media siano stati messi in atto da Goebbels. Già all’epoca però si stava passando da un’adesione frutto di ragionamento a un’adesione come scelta alogica dettata da immagini, miti, riti, simbologie. Il meccanismo mentale che c’è dietro le immagini di Hitler e quelle Obama e Berlusconi non è molto differente: l’immagine carismatica del leader determina di per sè l’adesione a quel che dirà. La scelta politica è dunque più simile al ribollente tifo calcistico che a un gelido discorso cartesiano.
I social media hanno introdotto meccanismi in parte nuovi: poca argomentazione, molte immagini, testi scarni, scarso coinvolgimento. Le campagne di opinione che si sviluppano su internet sono spesso sostenute da argomentazioni chiare ma brevi e dunque poco approfondite. La veicolazione di video e foto riveste un’importanza fondamentale. I testi sono brevi come impongono i mezzi (pensiamo a Twitter). Il coinvolgimento è spesso virtuale, come nelle campagne di Avaaz. Eppure anche questa è opinione pubblica e sempre più i giovani (e non) commentano quella campagna su facebook piuttosto che ragionare sull’editoriale del New York Times.
Le campagne d’opinione su internet hanno bisogno di mobilitare l’emotività delle persone nei pochi secondi di attenzione su cui possono contare. Un video o una foto sono spesso la base. Poi seguono testi, appelli, richieste di share. In alcuni casi queste campagne diventano azione concreta ma il più delle volte si rimane a una forma di sostegno virtuale o, meglio, digitale.
In ogni caso siamo di fronte a una nuova modalità di elaborazione del discorso pubblico con cui non in futuro ma già oggi bisogna confrontarsi, per capirla e anche per evitare di far sommergere il proprio senso critico da iniziative rapsodiche, spinte emotive, interpretazioni non verificate.
Dopo l’opinione pubblica raziocinante di Habermas e le simbologie acritiche dei mass media potremmo trovarci circondati da distorsioni diffuse da qualche click dato distrattamente.