martedì 26 giugno 2012

Dal web testuale al web visuale


La comunicazione passerà sempre più attraverso le immagini? Le tendenze degli ultimi mesi sembrano confermare questa intuizione. Il recente lancio di Axis da parte di Yahoo punta a costruire ricerche sul web più basate sull’intuizione visuale offerta dai thumbnails che sulle strategie testuali che caratterizzano i motori di ricerca classici. Sul fronte dei media sociali Pinterest è il media del momento, con ritmi di espansione come nessun altro. Tumblr cresce a ritmi superiori al 200% all’anno per utenti unici e si diffonde soprattutto tra i giovanissimi. Ad un anno e mezzo dal lancio Instagram ha raggiunto oltre 30 milioni di utenti.
La preponderante fruizione di internet attraverso gli smartphones e i tablet spinge a graficizzare le informazioni mentre i testi lunghi (20 righe?) diventano marginali. Emerge un’arte del commento (Tumblr), della didascalia (Pinterest), della titolazione del link (Twitter).  
Cosa implicano queste tendenze per chi si occupa tecnicamente di comunicazione ma anche per chi studia la etologia del web? Davvero tutto quello che è intuitivo, breve, cromaticamente gradevole porterà a migliorare l’efficacia della comunicazione e delle interelazioni tra i soggetti?
Umberto Eco ricordava in un suo testo come una società, come quella medioevale, che comunicava essenzialmente attraverso le immagini (delle chiese) non poteva che essere autoritaria. Aggiungo da parte mia che la dittatura del kitsch e del conformismo passa sempre attraverso immagini “belle” e “rasserenanti”. La pubblicità dopotutto da sempre lavora con immagini che provano a imporsi da sé, apofanticamente. Si tratta dunque di un meccanismo mentale non nuovo: anche il brand punta a costruire associazioni di valori e di rimandi che non hanno altro legame se non la giustapposizione visuale di immagini metaforiche.
Ma poggiarsi sulla forza metaforica che ha in sé ogni immagine può essere a volte un’escamotage per rinunciare allo sforzo di un pensiero consecutivo e quindi smentibile.
I media sociali sono per loro natura “spreadable” come dice Henry Jenkins, ovvero “diffusivi”, si estendono e si trasformano inglobando componenti eteroclite ma modellano i contenuti sulla base delle loro logiche. Un predominio attuale o futuro di forme di comunicazione digitale visuali potrebbe portare a un arretramento, forse specie tra i più giovani, della capacità di condividere critiche e analisi che tanto atterrisce le classi dirigenti di tanti paesi quando pensano alla rete. Una strategia di comunicazione aziendale centrata sulle immagini si augura, implicitamente o no, di avere dei fan e non dei soggetti interessati a coinvolgersi in una conversazione che può a volte essere defatigante. Dopotutto chiunque sa che è difficile lasciare commenti lunghi se fruisci di un contenuto attraverso un dispositivo telefonico. Non si tratta di essere banalmente apocalittici ma di prendere atto che ogni habitat digitale definisce le condizioni e le logiche del successo e del predominio in esso. Però con una sostanziale differenza rispetto agli habitat naturali, la quale consiste nel fatto che l’habitat digitale è frutto della logica di partenza quanto anche delle infinite strategie di utilizzo del media dei suoi fruitori. A tal proposito segnalo il pinboard di Pinterest dedicato al libro Timira di Wu Ming2, dove la visualità del media viene inquadrata in un indirizzo interpretativo chiaro, al di là della sua condivisibilità.
Tra web testuale e web visuale continuo a preferire un utilizzo intelligente del web.

martedì 5 giugno 2012

Sei solo infografiche e distintivo!



Una nuova banalizzazione si aggira per la rete. È la moda, la passione, il culto per le infografiche, che dovrebbero rendere un post e un contenuto più comprensibile e più denso. Peccato che il più delle volte la grafica viene utilizzata per mettere assieme con colori e font rutilanti informazioni banali, che starebbero in poche righe di testo scritto.
Altre volte un’intera ricerca sociale viene sintetizzata in una caterva di numeri, percentuali, grafici a torta, a barre, a piramide, a bolle, a radar e così via distribuiti su interminabili file jpeg, in cui si stenta a trovare un filo logico tra percentuali fisicamente vicine e concettualmente distanti o tra rappresentazioni grafiche che cambiano colore per rispettare i bilanciamenti anche se il tema è lo stesso.
L’infografica si sta sempre più risolvendo nell’esatto contrario dell’obiettivo per cui era nata: da sintesi grafica di pagine di analisi e argomentazioni scritte a documento fine a se stesso, facile da condividere e da distribuire tramite i media sociali ma spesso scarsamente utile se si intende capire davvero, oltre i numeri, i fenomeni che si vogliono rappresentare.
Cosa resta dell’informazione sintetizzata da un infografico? E i numeri forniti sono davvero quelli più pregnanti? Quanto la ricerca di forme e colori accattivanti finisce per avere la meglio sulle informazioni più complesse?
La moda delle infografiche è dopotutto un sintomo, tra i tanti, del progressivo slittamento verso i contenuti grafici che caratterizza il web in questa fase, in cui il presupposto di una immediata comprensione nasconde la rinuncia a una ricezione critica delle informazioni.
Ma di questo parlerò nel prossimo post.