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Nè Illusi nè ingenui
Giusto per chiarire a tutti come vedo queste elezioni pubblico anche sul blog l'appello "Né illusi nè ingenui", di cui trovate qui il gruppo su Facebook
Né illusi né ingenui
Le elezioni del prossimo 24 febbraio sono state enfaticamente
presentate come le più importanti dal 1948, un’afffermazione che fa il
paio con la classica promessa secondo la quale da trent’anni si dice che
ogni legislatura sarà finalmente costituente.
La verità è che
appunto da almeno trent’anni la politica non riesce a cogliere e a dare
una risposte concrete e conseguenti alle trasformazioni della società
italiana come del contesto economico internazionale. Le domande e le
attese che emergono vengono frustrate e deluse, sia che vengano avanzate
da comuni cittadini sia che arrivino dai vertici dello Stato:
l’incapacità di approvare una nuova legge elettorale al posto
dell’orrido porcellum ne è solo l’ultima riprova.
Il rischio di
bancarotta dello Stato italiano non è un fatto meramente contabile né si
può attribuire alla sola classe politica. Viviamo in anni in cui il
fallimento di un’intera classe dirigente nazionale appare agli occhi di
tutti nella sua gravità: i vertici della burocrazia di Stato come
dell’industria e della finanza, i dirigenti politici come quelli di
impresa, i rettori e i docenti universitari, i gruppi di poteri del
paese, dalle logge massoniche alle organizzazioni cattoliche passando
per i circoli intellettuali troppo spesso inclini a rinunciare alla loro
onesta intellettuale, dovrebbero finalmente iniziare un’approfondita
analisi della crisi italiana e delle loro responsabilità in essa.
L’incapacità di decenni nell’ elaborare un modello di sviluppo per il
paese dopo la caduta del muro di Berlino, la rinuncia a dare al paese
una politica industriale che rispondesse al declino o alla perdita
dell’industria automobilistica, di quella chimica, di quella
elettronica, di quella degli elettrodomestici, di quella
aeronautica-aerospaziale (tanto per citare solo casi parziali) così come
l’incapacità di sostenere e ristrutturare i distretti industriali non
più in grado di affrontare la competizione internazionale, ha di fatto
creato in Italia una crisi di indirizzo economico e sociale che aggrava
la crisi finanziaria internazionale.
Intere aziende (vedi
Telecom) sono state spolpate e appesantite da debiti che ne
compromettono lo sviluppo futuro e la loro capacità di competere sul
mercato mondo: straordinaria metafora del paese stesso. Altre (vedi
Alitalia) sono state utilizzate come merce di scambio tra la politica,
le banche e i principali imprenditori italiani a scapito delle casse
pubbliche, dei clienti e degli stessi dipendenti: sintesi anche questa
di come quale è stata l’idea di interesse collettivo che le classi
dirigenti del paese hanno promosso in questi anni. Infine, anche la
gestione della raccolta e della destinazione del credito (vedi MPS) ha
dimenticato i criteri di merito per essere piegata solo a logiche
speculative e di arricchimento di pochi, mentre la politica era al
minimo ignava o collusa.
I giovani sono trattati come prede da
parte della generazione precedente: precarietà, frutto di una
legislazione e di una mentalità che ha giustificato gli stage gratuiti
senza futuro come i contratti con emolumenti sotto la soglia di povertà;
umiliazioni, frutto della ricattabilità di una generazione senza
tutela e senza prospettive se non sperare nella benevolenza di qualche
potente; disillusione, che sottrae energie al paese e spinge sempre di
più tanti a rinunciare del tutto a inserirsi nel sistema produttivo o a
scappare dal paese.
L’Italia è oggi un importatore netto di
manodopera a basso costo (manovali, badanti, e un esportatore netto di
ricercatori, intellettuali e professionisti: la bancarotta nella
bilancia dei pagamenti intellettuale già è nei fatti.
Prevale un
senso di conservazione del presente e delle tutele o delle licenze che
piccoli ma potenti strati della popolazione riescono ancora ad
attribuirsi.
Chi di noi oggi ha circa 40 anni ha vissuto il proprio
percorso professionale rallentato e condizionato da un paese che,
quando cresceva, comunque finiva per allontanarsi dalle economie e dalle
società più evolute del mondo. Peggio è andata a chi di noi ha meno di
30 anni, che è stato vittima della paralisi del paese e dell’emersione
dei peggiori istinti di sopraffazione da parte di chi era nelle
condizioni di approfittare della debolezza della controparte.
Di
fronte a questo quadro avremmo preferito ascoltare una proposta politica
capace di indicare anche scelte radicali ma con una minima idea di
futuro per il paese.
Le vicende dell’ultimo anno di politica ci
hanno invece persuaso definitivamente dell’assoluta incapacità di
autoriforma delle classi dirigenti del nostro paese. Le vicende degli
esodati, del Sulcis, dell’Ilva di Taranto, le manganellate ai ragazzini
durante le manifestazioni, la mancata abolizione del porcellum, tanto
per citare alcune tra le più gravi, ci hanno definitivamente persuaso
che non sarà nemmeno una “Grosse Koalition” a elaborare le scelte per
rendere la società e l’economia italiana capace di valorizzare il
talento e il merito, di tutelare i diritti dei meno garantiti, di
rendere finalmente dinamica una società ingessata da compromessi, scambi
di favori, appartenenze più o meno occulte.
Ultima indignazione
quella per un primo ministro, nominato senatore a vita proprio per
garantirgli terzietà e immunità, che si lancia nell’agone elettorale
mentre è ancora è a capo di un governo che doveva consentire almeno
l’inizio di un percorso condiviso di riforme.
Si parla di Europa solo come una minaccia o uno slogan non come un parametro su cui calibrare i diritti di cittadinanza.
Per tutto questo riteniamo che l’unica proposta politica che garantisce
la possibilità di innescare un rinnovamento a tutti i livelli sia il
Movimento 5 Stelle.
Non ci nascondiamo tutti i limiti del movimento
di Beppe Grillo. Abbiamo forti dubbi sulla capacità dei cittadini
eletti di reggere di fronte alle sirene delle profferte degli altri
partiti e alla complessità del lavoro parlamentare. Ma non si può negare
che i successi di Parma e in Sicilia sono stati la causa scatenante che
ha portato la parte più consapevole del mondo politico a puntare su un
rinnovamento di ranghi e di idee.
Questa spinta al cambiamento deve
essere sostenuta oggi ancora di più. Avere dei cittadini che, anche con
sana ingenuità, saranno capaci di denunciare i compromessi che, in
Parlamento o altrove, paralizzano o saccheggiano il paese sarà un
beneficio per l’intera nazione. Avere dei cittadini fortemente impegnati
sul tema della tutela della salute e dell’ambiente dovrebbe spingere il
Parlamento a spingere imprese e cittadini a stare al passo con le
tendenze ambientali ed energetiche dei paesi più evoluti. È l’ora di
smettere di tentare di reggere la concorrenza internazionale con
trucchi, falsi o battaglie di retroguardia, scaricando gli errori di
prospettiva della classe dirigenza nazionale e aziendali sulle
condizioni di vita e di salute di lavoratori e cittadini.
Assieme a
punti molto innovativi il programma del Movimento 5 Stelle può apparire
parziale, superficiale, incoerente ma questa critica non può venire da
una classe politica che da decenni presenta al paese programmi cui non
credono neanche in campagna elettorale.
Non siamo illusi né
ingenui: molto probabilemente queste elezioni non saranno decisive ma
possono essere un punto di partenza di un percorso di rinnovamento del
paese anche per quanto riguarda l’etica pubblica, poiché senza di essa
nessuna istituzione può essere credibile.
Nè illusi né ingenui, ma
solo consapevoli di orientare il proprio voto per innescare un
cambiamento radicale delle pratiche e delle persone, capace di dare una
prospettiva al paese contro le logiche di autoconservazione di una
classe dirigente inadeguata e per dare finalmente spazio alle tante
intelligenze ed energie, di tutte le età, cui il paese attuale non
riconosce valore e a volte neanche diritti.
1 commento:
just stopping by to say hi
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