Al
professionista di marketing, di comunicazione, di pr non si chiede più solo (tra
le tante altre cose) di essere competente sugli strumenti e sugli obiettivi, di
sapere trasferire un sapere reale e oggettivo al cliente, di essere capace di raggiungere
risultati quantificabili. I media sociali hanno imposto un’ulteriore torsione
alle vite stesse dei professionisti di questi ambiti: l’obbligo costante a
essere vigili senza requie, a monitorare ogni occasione per garantire
visibilità a se stessi o alla propria azienda nella conversazione globale, a
intervenire con spunti non banali per destare l’attenzione,l’interesse, la
stima di tutti gli altri soggetti che interagiscono sul web.
Come David Meerman Scott evidenzia in questo post il focus non è più solo sulla
campagna e sui risultati da raggiungere ma sullo sviluppo di un “mindset”, di
una forma mentis diremo noi latini, che richiede attenzione e reattività
costanti, capaci di cogliere tatticamente le opportunità che possono crearsi o
di individuare per tempo i focolai di potenziali crisi di immagine o di vendite
grazie a un monitoraggio continuo dell’ambiente di mercato e comunicazionale in
cui si opera.
La conoscenza è
diventata sempre più una commodity (o
almeno tende ad essere tale, ed è giusto che sia così) e non esistono quasi più
ambiti di sapere recintati. Nessuno è depositario di competenze esclusive. Un
esperto bravo non disponibile oggi può essere rapidamente sostituito da un altro
contattato attraverso una ricerca su google: quel punto della rete che occupi
tu può essere facilmente preso da qualcun altro, come i neuroni morti vengono
sostituiti da altri, più o meno vicini, capaci di esplicare le stesse funzioni.
A due
dimensioni tipiche della competenza, ovvero la profondità e l’ampiezza, si va
ad aggiungere la tempestività, che non è solo pronta risposta a sollecitazioni
varie ma implica dare continuità alla propria presenza digitale in maniera
pregnante.
In termini di
impatto sui tempi e la qualità della vita siamo ben oltre la tradizionale
colonizzazione della vita privata. Oltrepassare i tradizionali orari di lavoro
o essere reperibili quasi h24 erano già caratteristiche, spesso lautamente
retribuite, di alcune storiche categorie professionali come medici o avvocati. Ora
non si tratta tanto di mandare l’ultimo tweet dal letto, il più tardi
possibile, ma di sviluppare un di più di attenzione attiva che porta ad
analizzare i flussi di comunicazione provando sempre a cogliere da essi uno
spunto innovativo, al minimo per alimentare la propria visibilità digitale fino
a cogliere un’opportunità o sviluppare intuizioni sfuggite ad altri.
Non a caso all’inizio
parlavo di torsione esistenziale: chi sceglie di lavorare negli ambiti del
marketing, delle pr e della comunicazione sceglie oggi una professione
totalizzante, in cui il carico di coinvolgimento emotivo, di passione, di
entusiasmo deve essere tale da non far nemmeno sentire come lavoro quello che è
un impegno senza soluzione di continuità.
In una fase di
atomizzazione professionale, in cui contiamo se riusciamo a dare un qualche
contributo a una conversazione globale che comunque ci trascende, i veri
privilegiati saranno coloro che potranno permettersi tempi medio lunghi di riflessione
e di risposta. Tutti gli altri
professionisti saranno costretti a essere schiavi della comunicazione
istantanea, dell’istante sempre rincorso.
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