A seguito di varie richieste segnalo che su Slideshare si possono trovare le mie slides di una recente docenza su come cambia l'attività di media relations nell'epoca dei media sociali.
lunedì 31 ottobre 2011
Social media relations
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lunedì 24 ottobre 2011
La televisione dei social media
Metto in fila tre
fatti.
Il 7 ottobre
Stefano Bonilli annuncia il suo addio a Facebook, denunciando (non il primo) l’invasività
del social media.
Il 15 gennaio
2009 la Burger King chiude la sua iniziativa Whopper Sacrifice, che regalava un
Whopper a ogni utente Facebook che cancellava 10 suoi amici, a seguito di un
successo imprevisto che aveva provocato quasi 234mila cancellazioni di “amici”.
Finora (le 23.20
di domenica 23 ottobre 2011) 1457 persone su Facebook hanno messo un Like alvideo che su Repubblica.it mostra le ultime torture a Gheddafi prima del colpo
finale.
Facebook è un
luogo virtuale dove creare e coltivare relazioni con le persone, si dice. Ma relazioni
di che tipo? Si tratta di relazioni lasche, che quasi sempre possono essere cancellate
senza rimpianti, di scambi fortuiti e distratti di qualche riga di chat, di profili
che si sfiorano e si allontanano subito dopo, di Like distribuiti senza
pensarci, un gesto virtuale ambiguo che può significare approvazione, attenzione,
sostegno, ringraziamento, e tanto altro senza soffermarsi molto su cosa e sul
come di quel contenuto.
Potrebbe sembrare
un problema legato a certe particolari modalità di fruizione ma quando un social
media è fruito da oltre 500 milioni di persone nel mondo, la sua pervasività finisce
per imporre o almeno per insediare le sue modalità di comunicazione e i processi
mentali suoi propri nelle abitudini di
chi ne fruisce. O almeno tra i fruitori più sguarniti.
Chi ha contenuti almeno
parzialmente originali coltiva il suo blog o il suo twitter ( o anche
meta-social media come Storify). Chi invece non ha altro che il suo privato da
esporre e sul quale tentare di attrarre l’attenzione altrui finirà per utilizzare
Facebook. Dunque, Facebook sta sempre più diventando la televisione dei social
media: il suo enorme seguito ha banalizzato contenuti e relazioni che vi si
possono trovare. E se in televisione il film erotico o soft-core ha sempre la
sua audience la pornografia del proprio privato che tanti esibiscono su
facebook non è da meno.
L’ho già evidenziato altrove: come in televisione puoi fare ottimi programmi ma sempre
consapevoli delle caratteristiche del mezzo e del pubblico, così anche Facebook
può consentire lo sviluppo di percorsi di comunicazione meno banalizzati. Ma
non è questo il punto.
Bisogna semmai
riflettere se la stragrande maggioranza degli utenti dei social media si
avvierà a considerare normali dei livelli di relazione ridotti a poche
convenzioni e poche frasi distratte, se l’abbassamento costante della capacità
di attenzione porterà tanti ad accontentarsi di coriandoli di contenuto e di
significato, se il flusso di informazioni e notifiche non implicherà una generale
anestesia emozionale. Così, di fronte a un dolore privato o a uno strazio
collettivo le reazioni si ridurranno a qualche emoticon triste o a un
incomprensibile Like.
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giovedì 6 ottobre 2011
L'uomo che trasformò il computer in un media
Nel profluvio di celebrazioni, rimpianti e retoriche che hanno accompagnato la notizia della morte di Steve Jobs non ho trovato riflessioni interessanti sulle trasformazioni profonde che l'uomo di Cupertino ha promosso o in alcuni casi imposto. I quotidiani per lo più si limitano a registrare l'emozione di politici, imprenditori e singoli fruitori della rete oppure elencano i prodotti che ha lanciato la Apple nell'ultimo decennio.
Da parte mia ritengo che la grande innovazione, davvero radicale, trainata dalla visionarietà di Steve Jobs sia stata quella di trasformare il computer in un media.
Da oggetto destinato a un pubblico di esperti informatici prima e poi inteso come strumento di produttività personale, il computer grazie a Jobs è diventato un media altamente flessibile, capace di trasferire all'utente tutte le funzioni dei vecchi media e di crearne di nuove.
Questa traslazione ha creato il mondo come lo conosciamo oggi, in cui il valore è frutto della capacità dei singoli di utilizzare, trasformare e distribuire i contenuti attraverso dei computer-media che possono prendere le forme di un laptop come di un cellulare, di un iPad come di uno smartphone. Chi si ferma al mero prodotto o alla mera applicazione tecnologica non coglie il senso di una profonda trasformazione antropologica, che condiziona le vite di qualsiasi soggetto che oggi fruisce i media.
E così siamo diventati tutti dei produttori di contenuti, tutti siamo dei media. Chi ha pochi contenuti finisce per mettere a disposizione il proprio privato, dato che sei nulla se non sei inserito e visibile nella catena produttiva dei contenuti mediatici.
Non è detto che questa trasformazione abbia solo effetti benefici. Di certo è quella più profonda, ed ingenui sono coloro che credono di star facendo una semplice telefonata quando usano il loro smartphone.
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