Sbaglia chi pensa che i media sociali abbiano apportato cambiamenti al marketing, alla pubblicità e alle relazioni pubbliche. Più che di semplici cambiamenti bisognerebbe semmai parlare della creazione di nuove modalità lavorative, nuovi obiettivi, nuove priorità, nuovi strumenti: in una parola un nuovo paradigma professionale emerge dal radicarsi dei media sociali, un paradigma professionale che non è né solo marketing digitale né solo pr digitali, né solo digital advertising.
Qualche autore come David Meerman Scott ha provato nel 2007 ha definire “Le nuove regole del marketing e delle PR” (sciaguratamernte pubblicato in italia da Hoepli con i tipi dell’editrice Libreria dello Sport assieme a testi fondamentali per la pesca di fiume e il trekking). L’assunto di David è che nel mondo digitale queste due dimensioni storicamente antitetiche finiscono per fondersi: la comunicazione indirizza verso canali immediati di vendita grazie a transazioni gratuite o pagamenti immediati di prodotti digitali; il marketing nel mondo digitale guadagna straordinarie occasioni per diffondere informazioni e creare relazioni attorno a un prodotto. Penso che David abbia colto solo parte della questione. Il digitale ha creato innumerevoli ponti tra i due mondi ma ha anche creato nuovi ambiti in cui gli obiettivi non possono essere definiti nè sotto le classiche categorie delle relazioni con i pubblici nè sotto quelle ancora più classiche del marketing.
Ad esempio diventa difficile applicare la teoria degli stakeholder in un contesto dove si verifica una costante generazione di nuovi pubblici. Perciò lungi dall’adattare le vecchie categorie bisogna crearne di nuove. Perché gli opinion leader del mondo digitale sono diversi, perché hanno tempi e modalità di relazione tra essi diversi, perché cambiano le tecniche di dialogo e di argomentazione con essi.
Per esempio tweets e likes hanno un valore diverso rispetto al lettorato di un quotidiano, rispetto al GRP della pubblicità o rispetto a un incremento dei prospect o degli acquirenti di un prodotto. Non vanno a sostituire parametri istituzionalizzati da decenni in altri ambiti (per quanto il livello di dati quantititati e di tracciabilità dell’online sia talmente profondo e accessibile da non avere paragoni ) ma sono alcuni degli elementi da monitorare per capire meglio il buzz della rete, la reputazione di un produttore di contenuti, la sensibilità a un certo tema, lo stile più apprezzato nelle varie modalità di produzione, e così via.
Prendiamo un brillante articolo di un quotidiano. Esso viene incluso nella classica rassegna stampa di decisori politici ed economici e letto nell’impaginazione originale da decine o centinaia di migliaia di persone. Al contempo viene postato su facebook, ripreso, apprezzato, commentato, risegnalato via tweet, citato e renviato. Il contenuto è il medesimo, le modalità di fruizione diverse. Lo stesso articolo che viene commentato nei corridoi di Montecitorio come nel bar di provincia da gruppi di conoscenti diventa oggetto di dibattito online e commenti per migliaia di persone che spesso non si conoscono di persona. E dunque non si può dare preminenza a un meccanismo piuttosto che a un altro ma le due modalità richiedono dimensioni di monitoraggio e di analisi diverse, indice di due approcci professionali diversi.
Ecco dunque il punto centrale e finale di questo post: sono già emerse nuove figure professionali figlie dei social media, abili a sfruttare raffinati strumenti di analisi quantitativa, elaborare e distribuire i contenuti sulle diverse piattaforme, sviluppare strategie di SEO e SEM, definire emettere in pratica strategie di comunicazione che fondono i diversi ambiti attraversati dalla rivoluzione dei media relazionali.
È tempo dunque di aggiungere una nuova figura accanto a quelle dell’esperto di relazioni con i media e i pubblici, dell’esperto di marketing, del pubblicitario e del comunicatore d’impresa. Una figura che gestisce professionalmente contenuti e relazioni sul web 2.0. In inglese potrei definirlo "social media content manager" ma mi auguro che i miei lettori aiutino a trovare una definizione in italiano più efficace.
2 commenti:
se si considera che ciò è avvenuto in non più di 3 anni, immaginiamo i futuri canali della comunicazione tra qualche lustro! odissea web 2.0
marco liuzzi
Non mi dispiace la definizione che hai proposto, ma non credi che fare riferimento in essa ai "social media" da un lato e al "content" dall'altro sia un po' troppo restrittivo? Come da te sottolineato, le competenze messe in campo, gli strumenti utilizzati, le attività e gli obiettivi strategici, sono ben più ampi e diversificati per questa nuova figura professionale. Difficile trovare una definizione in italiano senza ricadere in "vecchie" classificazioni.
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