Flattr è un nuovo servizio di micropagamenti sociali che prova a compensare i contenuti pubblicati online. Ci si impegna a versare a Flattr una quota mensile (anche solo 2 euro) e poi cliccandone il loghino che appare sotto i post o altri contenuti digitali si distribuiscono i soldi, premiando i contenuti più interessanti. La società svedese trattiene poi il 10% a titolo di contributo spese.
Questo sistema potrebbe funzionare se un numero davvero considerevole degli utenti web (diciamo almeno 3 milioni, lo 0,01% di una utenza mondiale pari oggi a 3 miliardi di esseri umani) abbracciasse l'idea e se un numero altrettanto considerevole di produttori di contenuti digitali originali si associasse al progetto. Possibile che 3 milioni di persone nel mondo accettino di pagare un minimo di 2 euro al mese? Se pur capitasse questo caso (troppo ottimista per essere reale), avremo 6 milioni di euro da distribuire su decine di milioni di contenuti. Gli incassi mensili dei siti si conterebbero in centesimi o millesimi di euro.
Poi non si capisce perché le persone dovrebbero iniziare a lasciare distribuire questo obolo digitale quando fino ad oggi non lo facevano. Certo, si dirà, in questo modo si ricompensano monetariamente (ma in maniera simbolica) i creatori di contenuti digitali, Ma quello che i fondatori di Flatter non colgono è che l'economia digitale è una economia che si basa essenzialmente sul dono e sul gratuito. Non è che i blogger o gli artisti di graphic design o i musicisti o gli sviluppatori di SolidWorks siano presi da un afflato francescano di donazione di sé al prossimo. Semplicemente sul web si cerca un pubblico capace di far crescere e sostenere la visibilità e la reputazione di quel creatore di contenuti fino a fargli superare quella soglia invisibile che passa tra il dilettante e il professionista. Il modello di compensazione che cercano i creatori di contenuti digitali non si basa sulla richiesta di denaro ai fruitori. Qualsiasi blogger tra ritrovarsi 100 euro in più al mese in tasca e avere 1000 lettori in più preferisce senza dubbio la seconda.
Così come gli artisti oramai vendono quantità ridicole di cd e guadagnano invece grazie ai concerti e il licensing, così i creatori di contenuti digitali regalano i contenuti per poi essere ingaggiati come sviluppatori software, come conferenzieri, come formatori, come turnisti o musicisti di appoggio, come sviluppatori di ambienti artistici digitali e così via.
Ecco perché a mio avviso i micropagamenti non funzioneranno mai, anche la creazione di un borsellino elettronico come Flatter: l'ideologia del gratuito si è radicata profondamente tra i giovani, ed essi vogliono essere semmai fans di un sito e non elemosinieri. L'utenza dei social media ama condividere un link e far scoprire contenuti interessanti, originali, brillanti, divertenti, ma non chiederebbe all'amica alla quale ha forwardato quel contenuto di lasciare anche un obolo per il blogger o il film maker.
Se dovessi usare una metafora direi che l'economia dei contenuti digitali è estremamente distante dal commerciante borghese che prova a vendere la sua merce al miglior prezzo possibile, mentre è invece simile al contadino che semina su vari terreni i suoi semi sperando che almeno in uno germoglino rigogliosi. Al di là della metafora si tratta di un cambio di paradigma nel rapporto tra i produttori e fruitori di contenuti che stenta a essere capito da tanti che ragionano con i vecchi schemi mentali.
Siamo in un territorio incognito dell'economia, dove nessuno ha ancora elaborato formule certe per trarre valore dai contenuti pubblicati online.
giovedì 23 dicembre 2010
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