lunedì 5 novembre 2012

L'ansia da reputazione


Una nuova ansia assilla il maschio telematico (ma anche la femmina).

Se per secoli il maschio si è confrontato con i suoi simili celebrando erezioni telescopiche e durevolezze che sfidavano le ere geologiche, oggi gli esemplari più evoluti e e socialmediamente più raffinati puntano a sviluppare una ipertrofica Reputazione Digitale, metro ultimo e definitivo della loro cibercelebrità e delle loro qualità di markettari digitali.

Eh sì, l’evoluzione sociale passa attraverso quel che si mette in mostra di se. Ne passavano di anni luce tra il cafone erotomane che sbraita “tengo ‘na mazza tanta” (pensate a qualche deprivato sociale e culturale? E invece leggete qui) e il cafone arricchito che esibiva una Mercedes così lunga da far sospettare un suo precedente utilizzo come carro funebre. Ora queste tipologie subumane sono state superate e sublimate dal superuomo (e anche superdonna) digitalizzato, il quale, grazie all’uso combinato e compulsivo di tutti i media sociali conosciuti, di massa o di nicchia, punta non tanto ad attributi fisici o materiali ma alla sua Reputazione anzi, alla sua Reputation. E chi sei, se non un #Poernano, se hai meno di 8000 followers su Twitter? Se davvero conti qualcosa come minimo devi avere un secondo profilo  su Facebook, aperto per gratificare tutte le migliaia di persone che questuavano di entrare tra i tuoi amici dopo essere stati anticipati dai primi 5000 privilegiati del profilo numero uno. Oggi il superuomo digitalizzato afferma con orgoglio: “ho un Klout a 76” e tu che sei sotto 60 non sei nessuno”. E visto che i giornalisti della carta stampata hanno scoperto nella stessa settimana addirittura che esiste un qualcosa come il misterioso e potentissimo Klout (un algoritmo le cui logiche non sono pubbliche e criticatissimo da chiunque si occupi di media sociali), che è stato elaborato il concetto (generico e fuorviante, se assolutizzato) di influencer, che addirittura Twitter funziona diversamente da Facebook (impegnandosi a fondo scopriranno che ci sono addirittura decine e decine di altri siti di social networking), allora diamogli una mano e facciamogli sapere che Google ha un servizio abbastanza sottaciuto che si chiama “Io sul web” che aiuta a monitorare e anche a ripulire la propria identità digitale, che il RepScore di Naymz ti indica da uno a cento la tua reputazione sui media sociali (così Repubblica potrà raccontare di un altro strumento misterioso usato dagli accoliti di Grillo), che Reputation.com ti consente sì di eliminare contenuti e immagini imbarazzanti ma non riesce ancora a fare molto per cancellare i permalink che testimoniano l’arroganza e l’ignoranza dei giornalisti che trattano e parlano di cose che poco conoscono.

Orrore! l’ultima sgarzolina di agenzia ha un Klout più alto del blogger pluripremiato: ecco che l’ansia da reputazione inizia ad assillare chi opera nella comunicazione digitale.  Sarebbe proprio il caso di dire: non facciamoci le pippe! Chi li ha, diffonda sul web contenuti intelligenti ed efficaci. La reputazione verrà da sé, parola di ciberandrologo.

1 commento:

toni muzi ha detto...

ottimo approccio.peraltro argomentato con competenza specifica anche qui

The Irony Of Measuring Digital Influence
http://techcrunch.com/2012/11/09/can-social-media-influence-really-be-measured/

ciao,