Una nuova ansia
assilla il maschio telematico (ma anche la femmina).
Se per secoli il
maschio si è confrontato con i suoi simili celebrando erezioni telescopiche e
durevolezze che sfidavano le ere geologiche, oggi gli esemplari più evoluti e e
socialmediamente più raffinati puntano a sviluppare una ipertrofica Reputazione
Digitale, metro ultimo e definitivo della loro cibercelebrità e delle loro qualità
di markettari digitali.
Eh sì,
l’evoluzione sociale passa attraverso quel che si mette in mostra di se. Ne
passavano di anni luce tra il cafone erotomane che sbraita “tengo ‘na mazza
tanta” (pensate a qualche deprivato sociale e culturale? E invece leggete qui) e
il cafone arricchito che esibiva una Mercedes così lunga da far sospettare un
suo precedente utilizzo come carro funebre. Ora queste tipologie subumane sono state
superate e sublimate dal superuomo (e anche superdonna) digitalizzato, il
quale, grazie all’uso combinato e compulsivo di tutti i media sociali
conosciuti, di massa o di nicchia, punta non tanto ad attributi fisici o
materiali ma alla sua Reputazione anzi, alla sua Reputation. E chi sei, se non
un #Poernano, se hai meno di 8000 followers su Twitter? Se davvero conti
qualcosa come minimo devi avere un secondo profilo su Facebook, aperto per gratificare tutte le
migliaia di persone che questuavano di entrare tra i tuoi amici dopo essere
stati anticipati dai primi 5000 privilegiati del profilo numero uno. Oggi il superuomo
digitalizzato afferma con orgoglio: “ho un Klout a 76” e tu che sei sotto 60
non sei nessuno”. E visto che i giornalisti della carta stampata hanno scoperto
nella stessa settimana addirittura che esiste un qualcosa come il misterioso e potentissimo Klout (un algoritmo le cui logiche non sono pubbliche e
criticatissimo da chiunque si occupi di media sociali), che è stato elaborato il
concetto (generico e fuorviante, se assolutizzato) di influencer, che addirittura
Twitter funziona diversamente da Facebook (impegnandosi a fondo scopriranno che ci sono
addirittura decine e decine di altri siti di social networking), allora
diamogli una mano e facciamogli sapere che Google ha un servizio abbastanza
sottaciuto che si chiama “Io sul web” che aiuta a monitorare e anche a ripulire
la propria identità digitale, che il RepScore di Naymz ti indica da uno a cento
la tua reputazione sui media sociali (così Repubblica potrà raccontare di un
altro strumento misterioso usato dagli accoliti di Grillo), che Reputation.com
ti consente sì di eliminare contenuti e immagini imbarazzanti ma non riesce
ancora a fare molto per cancellare i permalink che testimoniano l’arroganza e l’ignoranza
dei giornalisti che trattano e parlano di cose che poco conoscono.
Orrore! l’ultima
sgarzolina di agenzia ha un Klout più alto del blogger pluripremiato: ecco che l’ansia
da reputazione inizia ad assillare chi opera nella comunicazione digitale. Sarebbe proprio il caso di dire: non
facciamoci le pippe! Chi li ha, diffonda sul web contenuti intelligenti ed
efficaci. La reputazione verrà da sé, parola di ciberandrologo.
1 commento:
ottimo approccio.peraltro argomentato con competenza specifica anche qui
The Irony Of Measuring Digital Influence
http://techcrunch.com/2012/11/09/can-social-media-influence-really-be-measured/
ciao,
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