venerdì 6 giugno 2008

Toni Negri e l'immateriale



Sull'ultimo numero del mensile di filosofia Diogene edito dalla Giunti si trova un'intervista a Toni Negri che parla anche del lavoro immateriale:


"(...) è necessario far riferimento al lavoro immateriale, o cognitivo. Questo è definibile come il lavoro in cui prevale l’elemento mentale-culturale sugli elementi materiali e di addestramento dei sensi. Il lavoro immateriale, utilizzando uno strumento tecnico-materiale (ad esempio, il computer) di solito in rete, si definisce come lavoro intellettuale e insieme come lavoro socializzato-comunicativo. Talora ci si illude di poter definire questo tipo di lavoro come “libero”, in realtà anch’esso è salarizzato e si riduce, per così dire, a lavoro “operaio”. Tuttavia, al di là di questa riduzione, emergono importanti e decisivi elementi di differenza. In realtà, in ogni tipo di lavoro, c’è sempre stata una componente cognitiva: nessun operaio è mai stato semplicemente “mani callose”, si è sempre anche costituito come forza intellettuale. Tuttavia, qualsiasi seria analisi del lavoro deve riconoscere che, prima, il lavoro (nella sua materialità) era assunto nella sua astrazione, cioè quantificato nella sua totalità o in unità discrete, che era ripetibile, che era calcolato su unità di tempo prefissate. Oggi, paradossalmente, il lavoro produttivo (immateriale) è invece sempre più concreto, nel senso che esso vuole singolarizzare un bagaglio di conoscenze nell’atto del lavoro. Ricordo, ad esempio, durante le mie prime esperienze come sociologo qui a Parigi, che, già quarant’anni fa, nelle officine dei TGV di Saint Denis non c’erano più operai tradizionali, ma solamente tecnici che “auscultavano” il treno come fossero medici. Le vecchie leggi di regolazione del lavoro, basate su criteri di astrazione e controllo dei tempi, sono quindi venute meno. Non è concepibile, in altre parole, racchiudere il lavoro attuale (che ha una figura singolare) in limiti di tempo che ne definiscano il valore: se si lavora a un progetto, ad esempio, questo può occupare mentalmente il soggetto molto più a lungo delle ore impiegate per la sua realizzazione. Il 3X8 (8 ore di lavoro, 8 ore di tempo libero, 8 ore di sonno), caratteristico della giornata lavorativa tipo, salta. Venendo meno l’orario della giornata di lavoro, è venuta meno anche la contrattualità classica, sindacale, e ciò lascia spazio a maggiori flessibilità (nel tempo) e mobilità (nello spazio) lavorativa: si può lavorare a casa, in macchina o di notte. Naturalmente, queste attuali forme di lavoro debbono essere attraversate da una nuova lotta di classe per combattere l’imporsi di nuove forme di divisione, sfruttamento e precarizzazione del lavoro."

Potete trovare tutta l'intervista al seguente link: http://dagospia.excite.it/articolo_index_41023.html

Ritengo che sfugga a Negri una trasformazione ulteriore, ovvero quella che parte dal lavoro immateriale e arriva a trasformare l'intera vita dei soggetti, in termini di racconto di sè, di prospettive di vita, di sistemi valoriali. In sintesi: l'identità si costruisce non più sul lavoro, sulla produzione, ma sul consumo, materiale e simbolico. Gli stessi legami sociali si rafforzano attraverso le occasioni di consumo.
Un redivivo Marx oggi visiterebbe con più interesse i centri commerciali che le fabbriche postfordiste.

1 commento:

Anonimo ha detto...

A Negri non sfugge affatto questo aspetto. Anzi probabilmente è stato uno dei primi teorici marxisti italiani a metterlo a tema quando negli anni '70 fomulava la teria dell' "operaio sociale".

Quella teoria anticipa molto del dibattito cominciato negli anni '90.
Oggi è chiaro che se ad essere messe al lavoro sono le nostre conoscenze le nuove figure del lavoro sono implicate in relazioni di potere che investono tutte le dimensioni della vita. Il suo ambiente (umwelt)- come viene chiamato in "Fine Secolo" da Negri- la sua seconda natura vengono messi al lavoro, ma sono anche nuovi scenari del conflitto.