Ti metto un Like, ti linko, ti quoto in toto, ti sharo (quest'ultimo stomachevole, ma ho ricevuto inviti per email a "sharare" i file), ti ritwitto: il linguaggio dei media sociali non è dei più eufonici ma ci sembra rapido e comodo per costruire un po' di consensi in rete. Ad un amico che ce lo chiede non si nega la propria partecipazione a un gruppo di sostegno su Facebook, un RT su twitter o almeno un Like.
E così qualche genio pensa: "quant'è bella la politica web 2.0! basta con riunioni fluviali, dibattiti astrusi, riflessioni tortuose, argomentazioni fumose come le stanze anguste in cui si svolgevano. Ora abbiamo i media sociali e allora usiamoli, no? Chiamiamo a raccolta tutti i Faruk e le Eve su Facebook e facciamo loro scoprire come è moderno il PD!".
Ancora storditi dalla scoperta del social media di Zuckerberg i dirigenti del PD hanno ordinato di tappezzare ogni spazio non autorizzato di Roma con i manifesti che annunciavano a tutti la loro epifania facebookiana.
Invece di un'impegnativa tessera un bel Like, invece della discussione defatigante con la compagna femminista incazzata una bella chattata allusiva con la studiosa di social media, invece di una campagna a sostegno dell'integrazione degli immigrati qualche bel video di musica etno da commentare in un thread in sequenza.
Insomma, il PD ci ha provato pure a mostrarsi social e viral. Però quando non sei vital c'è poco da fare.