Chi opera su internet in maniera più avvertita è ben cosciente delle ambagi digitali che l'informazione online può celare. Una notizia falsa giace per mesi in un permalink, finquando qualcuno non la crede vera e fresca e la riprende. Non capita solo a qualche blogger sprovveduto: recentemente Marco Travaglio nel suo Passaparola del lunedì sul blog di Beppe Grillo ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori contro un emendamento del pacchetto sicurezza per poi aggiungere un postscriptum in cui si scusava di aver ripreso da internet una notizia vecchia di un anno.
Ma su internet puoi disseminare tante notizie false, che poi il passaparola da link a link diffonderà viralmente. E puoi anche creare video fasulli e caricarli su TouTube. E anche pagine sui social media che puntano ad aggregare non solo i fan ma anche i nemici del tuo avversario politico.
Dunque un personaggio come Flavio Carboni, l'archetipo di tutti i faccendieri italiani, ha attraversato la storia della delegittimazione dai dossier del Sifar ai blog su internet dove cercava di azzoppare la candidatura di Stefano Caldoro a presidente della Regione Campania attraverso false notizie su sue presunte frequentazioni con trans. Nel suo obiettivo di distruggere Caldoro a vantaggio di Nicola “'o 'mericano” Cosentino, anello di congiunzione tra Pdl e clan dei Casalesi per la DIA di Napoli, era fraternamente affiancato da Denis Verdini, editore de Il Foglio e de Il Giornale della Toscana.
Non mi sembra che nessun blogger o giornalista online abbia scoperto tale mistificazione. Poco male, alla fine ci sono arrivati i giudici. Ma quando i giudici non ci arrivano chi ti difende dalla diffamazione online, spesso orchestrata ad arte? La soluzione non sta certo in qualche limitazione della libertà di opinione eppure bisogna ammettere che oggi un “blogger” (uso le virgolette non a caso) può diffamare chiunque, diffondere video o altri link calunniosi e non rischiare assolutamente (o quasi) nulla. Anche con una reputazione e un pagerank miserrimi quel pseudo blogger avrà immesso nella rete un falsficazione nella quale potrà imbattersi chiunque in cerca di piste o di indizi di attività poco limpide di qualche personaggio pubblico.
Siamo certi che dichiarare la rete capace di autocorreggersi non sia equivalente a credere ideologicamente alla fola liberista che il prezzo di mercato è sempre frutto del miglior incontro possibile tra domanda e offerta?
Come ci si può difendere in questi casi? Il ricorso al Codice Civile funziona sul web? Possiamo chiedere una sospensiva ex art. 700 per un blog letto da poche decine di persone? E se nel frattempo si è creato un mirror su un server russo o brasiliano? Possiamo smentire, certo, ma dove e come?
L'idea di una crescita del web esuberantemente svincolata da qualsiasi parametro di verifica e controllo sia sulle fonti che sulla distribuzione forse inizia a mostrare la corda.
Chi per mezzo di internet sta perdendo parte del predominio sui contenuti che aveva grazie alla televisione ha capito che è difficile limitare il nuovo media ma di certo lo si può manipolare.
Forse ci vorrebbe un gran giurì o un'authority del web, capace di eliminare i permalink fraudolenti o gratuitamente ingiuriosi in 24 ore dalla segnalazione, prima di qualsiasi decisione di merito della magistratura.
Ma queste sono solo sollecitazioni. Mi aspetto proposte più convincenti dai miei quattro lettori.